Vedi tutti

Sta per arrivare un revival di Jeffrey Campbell?

La corsa al middle market accelera

Sta per arrivare un revival di Jeffrey Campbell? La corsa al middle market accelera

«Lo Scrittore più importante degli ultimi 20 anni? Salinger. Il più importante regista? Kubrick. L'artista contemporaneo? Banksy. Il gruppo di musica elettronica? I Daft Punk. La più grande cantante italiana? Mina. Il filo invisibile che lega questi personaggi? Nessuno di loro si lascia fotografare». Questa è una delle frasi fondamentali pronunciate da Jude Law in The Young Pope di Paolo Sorrentino, e viene subito in mente quando si discute di Jeffrey Campbell, figura che su BuzzFeed, nel lontano 2013, veniva definito non casualmente «il J.D. Salinger delle scarpe platform». E per essere il designer di un brand nato nel 2000, che ha conosciuto una fama senza precedenti nell’era di Tumblr, capace di sedurre tanto le celebrity quanto le ragazze di mezzo mondo, conservando intatta la propria reputazione, sorprende che Campbell mantenga così gelosamente la propria segretezza. Il trucco di un successo tanto duraturo è, come sempre in questi casi, il centramento della propria offerta: design sempre moderni (a un certo punto, ad esempio, il brand propose scarpe prive di tacco dalla linea parecchio avant-garde) ma soprattutto sempre accessibili. Le scarpe di Campbell sono semplicemente presenti, disponibili, a portata di mano – e la gente le compra. 

Al di fuori dei più elevati bastioni del lusso e della ricchezza, nel mondo reale cioè, e specialmente in quell’epoca che andò dal 2008 al 2016, fu Campbell a creare e sostenere la mania dei tacchi platform con un modello, il Lita, che chiunque ha visto nella propria vita, almeno in questo emisfero. Il fenomeno non si è limitato al solo passato: Jennie Kim delle Blackpink e Tiffany Young le indossano sui palcoscenici e nella vita; quest’anno Sabrina Carpenter se l’è portate a Coachella e Dua Lipa per le strade di Londra, questo senza contare gli editoriali, i TikTok delle sorelle D’Amelio e, volendo tornare indietro nel tempo, anche un’iconica scena di Sydney Sweeney in Euphoria. Adesso il brand ha deciso di espandersi: produrrà borse, cinture e bracciali oltre che diversi accessori e diversi segnali fanno pensare, se non a un revival, a un ritorno in grande stile. Ma perché?

Aspirazionalità soddisfatta

@sofiabonizzoni Comunque sono stra comode (non le indosserei neanche sotto tortuna ma le amavo) #jeffreycampbell som original - sara

Si fa un bel parlare, di questi tempi, di “clienti aspirazionali”. I brand e i marketer li cercano praticamente col lanternino, in uno scenario di mercato spaccato tra la costante vista di prodotti di lusso sui social e l’ampia disponibilità di stili e di modelli del fast fashion. Il problema è duplice: nel caso del lusso, salvo conti in banca vertiginosi, non serve nemmeno pensare di entrare in un negozio dati i prezzi ormai inarrivabili; nel caso del fast fashion, se si soprassiede alle qualità scadenti e al dominio incontrastato delle fibre plastiche, ci si deve accontentare di prodotti massificati e algoritmici, privi di specificità ma soprattutto privi di quel fascino incredibile che, a tutti i livelli di mercato, proviene dal nome di un designer, dal carisma di un marchio. Dopo tutto, un brand come Massimo Dutti ha costruito un successo crescente su un prodotto leggermente più premium e un nome sulla porta che non corrisponde a una persona reale ma ne dà l’impressione. Jeffrey Campbell (e sua moglie Christina, che presumiamo aver avuto larga parte nel successo del brand) fa quasi l’opposto: pur senza manifestarsi fisicamente, il suo punto di vista, l’intenzionalità sono chiare; il brand possiede una sua personalità e una sua cifra che fa percepire che i design provengono da qualcuno ma soprattutto la missione dichiarata del brand, molto “americana” nel suo candido buonismo, è quella di «creare scarpe audaci per tutti a un prezzo accessibile».

La cauta espansione del brand, che dopo 24 anni esplora nuove categorie merceologiche, è il segno di una rinnovata ambizione. Sicuramente anche dall’altro lato dell’Oceano (Campbell e il suo brand sono basati a Los Angeles) è giunta l’intuizione di un nuovo bisogno del pubblico: quello, cioè, di un brand che non si sforzi tanto duramente di sfuggire al cliente, di porre barriere; di un brand che propone aspirazioni che è possibile soddisfare. Il tutto, ovviamente, evitando l’impersonalità di un fast fashion privo di autore e di volto. È qui il famoso middle market, il segmento della clientela più densamente popolato eppure privato di accessi desiderabili a prodotti costantemente pubblicizzati. Tanto più che proprio in questi anni si inizia a sentire la nostalgia per un’epoca che è familiare nei nostri ricordi di dieci o quindici anni fa, ma incredibilmente lontana: si sente la nostalgia delle pubblicità di American Apparel e Abercrombie, dei jeans di Dirty Mondays (che non a caso dovrebbe tornare) e di tutti quei brand che hanno segnato l’epoca Y2K e che adesso, ripensandoci, non erano per nulla male. Se oggi Jeffrey Campbell (ma anche Steve Madden) programma di espandersi è proprio perché questa domanda di prodotti «per tutti a un prezzo accessibile» è presente più che mai – anche se ottenere l’equilibrio tra accessibilità e reputazione del brand, che dev’essere familiare e affidabile ma non diluita da un’onnipresenza troppo commerciale, non è affatto facile. In ultima analisi, e forse un po’ banalmente, si riduce tutto alla value proposition di ciascun brand: in questo periodo proprio quest’ultima è in discussione e nel futuro saranno i brand che ne hanno una perfetta a emergere. Staremo a vedere se Jeffrey Campbell sarà tra questi.