Phoebe Philo è al centro di una nuova polemica
C'entra Brenda Hashtag e un'accusa di sfruttamento dei lavoratori
02 Settembre 2024
Dopo mesi di trepidante attesa per la prima collezione del brand eponimo di Phoebe Philo, in seguito all’istantaneo successo dei drop del brand immediatamente sold out, la designer britannica adesso si ritrova al centro di una grave polemica perché accusata di sfruttamento dai suoi dipendenti. Sarebbe stata la fashion editor e influencer Brenda Hashtag ad aver sollevato la questione, pubblicando lo scorso 15 agosto un tweet poi cancellato (non ci é dato sapere se sia stato eliminato da X o dall’influencer) con il quale invitava i Philophiles (fan dell'estetica di Philo) e l’intera fashion community a controllare le recensioni anonime degli ex dipendenti del brand su Glassdoor. Il tweet dell’editor tedesca è stato a tal proposito postato in un video TikTok della giovane fashion creator Katie Robinson, la quale ha spiegato nel dettaglio come la maggior parte delle testimonianze fossero di denuncia per aver vissuto in un ambiente profondamente tossico, gestito da un management prepotente: oltre agli innumerevoli straordinari non pagati, alcune recensioni raccontano di insulti e sgridate ingiustificate ricevute da Philo, la quale con lo snobismo e la schiettezza che si dice la contraddistinguano non ricorderebbe neanche i nomi dei membri del suo team.
@katieerobinson_ is this yet another unethical luxury brand? #fashiontiktok #news original sound - katie | sustainable fashion
Non è la prima volta che il metodo di lavoro e le scelte professionali di Philo diventano oggetto di polemica: su The Cut, in un articolo di review della prima collezione della designer, la fashion news writer Danya Issawi riapre una questione passata relativa ad alcune scelte estetiche della designer, accusata di «racism on the runway»; dieci anni prima, l’attivista per i diritti umani ed ex modella Bethann Hardison sottolinea, in un’intervista del 2013 per The Standard, la mancata presenza di donne nere nelle sfilate di Philo per Céline, nonostante la client base del brand fosse estremamente diversificata. Secondo quanto affermato da Hardison, in quegli anni erano tantissime le donne nere che indossavano i maxi gioielli Céline, nonché le pregiate borse in pelle come la Triumph (una delle it-bag dell’epoca), portata anche da Viola Davis in Le regole del delitto perfetto. Ancora la supermodel Iman, la prima donna afroamericana a calcare le passerelle delle grandi maison, in un’intervista nel 2022 su Sway's Universe dichiara: «Ecco perché non ho mai comprato una borsa Celine: lei ha il diritto alla sua passerella e io ho il diritto al mio portafoglio».
Nonostante le importanti accuse rivolte a Phoebe Philo, continua a crescere la richiesta per i pezzi d’archivio delle sue collezioni Céline. La sacerdotessa del quiet luxury, nonostante la lunga assenza dalle scene, é riuscita a rimanere rilevante negli anni, influenzando l’estetica di acclamanti brand contemporanei come Peter Do e The Row fino a raggiungere gli scaffali del fast fashion, che spesso provano a riprodurre alcuni dei suoi capi dal fit impeccabile, ma con scarsi risultati. Al di là delle polemiche, il fashion system non ha smesso di riconoscere il talento della designer britannica e il merito di aver creato un’estetica minimal ed “effortless”, soprattutto libera dallo sguardo maschile, ma comunque esclusiva nella scelta consapevole di rappresentare un unico modello di donna bianca, magra, necessariamente ricca per potersi permettere capi così cari. Rispetto all'era Céline, possiamo osservare nelle recenti campagne pubblicitarie del brand di Philo una maggiore inclusività nelle scelte casting, soprattutto per quanto riguarda l'età delle modelle. Per adesso, non ci resta che aspettare e scoprire se, questa volta, la polemica avrà o meno effetti e conseguenze sulla brand perception e sulla reputazione della designer.