Quando un brand diventa un’agenzia di viaggio
Dai classici inviti agli show Resort fino ai recenti “community trip” popolari nel mondo beauty
05 Settembre 2024
Tradizionalmente, il mondo dei viaggi di lusso brandizzati è appannaggio di influencer con ampi seguiti, che vengono trasportati dalle migliori auto nei migliori hotel per mangiare il miglior cibo e scattare le migliori foto possibili. La pratica però si è tanto diffusa da fare dell’influencer stesso quasi un archetipo negativo della società di oggi, una persona superficiale il cui bell’aspetto diventa merce di scambio per un lifestyle che quasi nessuno può permettersi e crea una narrazione fittizia e fuorviante sui social senza aggiungere nulla al dibattito pubblico. Il fenomeno ha portato il pubblico a giudicare male i cosiddetti “influencer trip”, visti come irrispettose ostentazioni il cui unico risultato è qualche post su Instagram. Da circa un anno a questa parte, come racconta BoF, diversi brand (perlopiù giovani) hanno colto il messaggio e hanno iniziato a far emergere una nuova tendenza: i “community trip”, ovvero viaggi organizzati offerti ai propri clienti e membri della propria community, che trasformano una semplice clientela in una sorta di piccolo club privato e che, invece di offrire solo qualche scatto di campagna, forniscono un’esperienza di ospitalità a tutto tondo. Invece di offrire contenuti aspirazionali, insomma, un nuovo ramo del marketing che si sta timidamente sviluppando propone di soddisfare le aspirazioni dei clienti – e a quanto pare il tasso di successo è davvero alto.
Certo la pratica nota come “community trip” non è completamente nuova – almeno nel mondo del lusso: negli ultimi vent’anni (più o meno) i clienti dei brand di lusso sono diventati i principali invitati degli show Resort, muniti di trasporto, di lussuose camere d’albergo, di raffinate cene, di eventi esclusivi e persino di gift baskets come quelli che, ad esempio, Dior offrì agli invitati degli show in Egitto e in Scozia. Per tre o quattro giorni di viaggio e attività, nessuno deve mettere mano al portafoglio. E se di quei viaggi la parte più visibile è proprio quella degli influencer, che svolgono in questo caso il ruolo di “cassa da risonanza” dell'esperienza sui social, l’aspetto del “community trip” è già presente nella sua interezza per gli invitati che fanno parte della clientela o della community del brand nel suo senso più lato. Sono occasioni in cui i brand mettono in mostra tutta la loro magnificenza e ospitalità in un approccio cross-settoriale che mette insieme diversi aspetti di un viaggio comunque afferenti alla medesima dimensione del lusso - ma se i marchi di moda si trovano, per così dire, al di sopra delle critiche essendo del tutto esclusivi già a partire dai prezzi, le cose sono diverse per gli altri brand. Per esempio, il marchio di cosmetici Tarte aveva organizzato in passato lussuosi viaggi per influencer in luoghi come Dubai e Bora Bora, suscitando l’indignazione di quei consumatori medi che percepivano un distacco troppo netto e palese dai fortunati influencer. In risposta al cambio di sentimenti del pubblico, i progetti successivi di Tarte hanno incluso anche i clienti del marchio attraverso concorsi che includevano esperienze come il concerto di Beyoncé.
@priscillascreativecorner @REFY staying ahead if the curve again with a community based brand trip intead of taking out influencers This reminds me of alot of @TOPICALS giving an opportunity to members of their community to join them on a brand trip. Could community trips take over? What are your thoughts Do you think community trips should replace influencer trips. #influencer #influencermarketing #buildingcommunity #socialmediamarketing #refy #refybeauty original sound - priscilla | Content & SMM
I "community trip" non solo attenuano i potenziali feedback negativi, ma creano connessioni più empatiche tra brand e base di consumatori. Per farla breve, il brand si fa amare dalla gente comune offrendo loro un ingresso nel proprio mondo di lusso. Quest’anno anche brand come Topicals e Refy hanno adottato il modello marketing, mettendo insieme clienti e influencer in esperienze di viaggio che il primo dei due ha battezzato proprio “community trip”. Questo tipo di esperienza offre vantaggi unici rispetto ai tradizionali viaggi per influencer: al di là delle classiche metriche da social media, coinvolgere clienti abituali aggiunge un aspetto di autenticità e, aggiungiamo noi, di umanità che risuona con il pubblico dei social - dopo tutto, fa più una goccia di miele che un barile di aceto. Per i brand, questo può tradursi in un aumento dei contenuti generati dagli utenti e in un miglioramento del cosiddetto “sentiment” che è poi un altro modo di definire la percezione che il brand possiede nel mondo, con importanti conseguenze sulla fedeltà e la retention dei clienti. Nel caso di Refy le cose sono andate anche oltre, dato che il brand ha fatto scegliere la destinazione del viaggio ai propri follower tramite votazione. Un’altra azienda, Avoskin, ha collaborato con Nomaden Club, una sorta di agenzia che organizza viaggi per sole donne in Indonesia, per unire branding e viaggi organizzati.
Certo, questa nuova maniera di intendere i viaggi brandizzati non intaccherà il ruolo degli influencer tradizionali che, spesso con milioni di follower, sono in grado di raggiungere coi propri content comunità vastissime che nemmeno il più riuscito dei passaparola può uguagliare. E dunque forse si può dire che è il mondo dei brand premium a sperimentare, su una scala più ampia e con in mente altri valori di inclusività, tattiche che con maggiore discrezione ma medesimi scopi i brand di lusso hanno già ampiamente rodato. L’unica differenza è che questi nuovi “community trip” si rivolgono alla sensibilità di un pubblico medio meno abituato a essere viziato da brand che spendono e spandono per il suo piacere – laddove, nella sfera del lusso, voli gratis e hotel a cinque stelle sono premurosi omaggi dedicati a chi al brand ha già dato abbastanza soldi da coprire vacanze ben più lussuose.