Quanti nepo baby ci vogliono per salvare Burberry ?
Il brand inglese e la maledizione dell'engagement
28 Agosto 2024
Nell’ultima campagna di Burberry, uscita in data odierna sui social e sulle principali testate di moda online, le nepo baby Maya Wigram e Lila Moss (per i non esperti, rispettivamente figlie di Phoebe Philo e Kate Moss) indossano la collezione autunnale del brand all’interno dell’inglesissimo Lake District, un sito UNESCO che tra l’altro è il più grande parco nazionale del Regno Unito. Tra rivisitazioni del check della maison, soffice maglieria e immancabili trench, il lookbook continua lo sforzo di Burberry di narrare la moderna essenza della britishness. Lo styling rende omaggio alla tradizione con impermeabili e stivali di gomma, tinte color muschio e verde foresta a indicare quel tempo in cui il brand vestiva militari ed esploratori, un codice stilistico che viene ripreso in ogni nuova collezione del direttore creativo Daniel Lee. Mentre il designer è ormai alla guida della maison da ormai due anni, dopo aver registrato un calo del 22% delle vendite nel primo trimestre del 2024 Burberry ha annunciato l’ingresso in campo di un nuovo CEO, Joshua Schulman. La scelta da parte della direzione della casa di moda di sostituire il CEO (fino a luglio Jonathan Akeroyd) ma non il designer, di provare a cambiare business ma non artisticità, la dice lunga sull’importanza che l’azienda sta dando al suo rebranding, testimonial inclusi. Ma quanto influisce veramente la scelta dei volti che rappresentano un marchio sul suo andamento, quando sta affondando?
Il nuovo volto di Burberry affianca un fascino retrò, fortemente legato alla madrepatria e agli elementi stilistici che hanno reso il brand un’icona del Paese, a testimonial Gen Z. Non si tratta solo di modelli dal volto moderno, con gli zigomi alti e tanti follower su TikTok, ma di una schiera di nepo baby, discendenti da passate generazioni di pop star, celebrity, artisti e autori nati Made in Britain. Sono protagonisti dei lookbook, come nel caso di Lila Moss e Maya Wigram, e delle sfilate, seduti in prima fila affianco a mamma e papà oppure direttamente in passerella. Fin dal debutto di Daniel Lee in passerella nelle vesti di direttore creativo di Burberry, le produzioni del brand hanno incluso volti come Iris Law (figlia di Jude Law e Sadie Frost) e Lennon Gallagher (figlio di Liam Gallagher, seduto front row alla FW24 con il terzogenito Gene), capostipiti della moda brit come Naomi Campbell, Agyness Deyn, Lily Cole, Lily Donaldson e Karen Elson, ma anche nuove personalità del cinema, della musica e dello sport come Barry Keoghan, Emma Mackey e Marcus Rashford. L’abbinamento house check e stivali Wellington - icone nuove e passate della pop culture britannica sembra giovare al brand, specialmente sui social media: le pagine della maison ottengono un engagement annuale che sfiora le 5 milioni di interazioni. Purtroppo, i clic non tolgono il fatto che a marzo del 2024 la maison ha riportato un utile in calo del 40%.
Se la nuova immagine del brand di Daniel Lee (una sciarpa a scacchi in colori brillanti, un trench più strutturato, l’immagine nostalgica dell’Inghilterra rivestita da una pennellata di vernice fresca) produce davvero tanto engagement online, ciò che forse manca a Burberry è un piano di comunicazione più consistente. Imran Amed di The Business of Fashion lo chiama Brand Magic, quell’equilibrio tra identità e marketing che porta un marchio di lusso al successo, lo stesso che al contrario di Burberry spiega la strabiliante crescita di Miu Miu, che nel primo trimestre di quest’anno è esplosa dell’89%. Mettendo a confronto i due marchi diventa più semplice comprendere ciò che manca a Burberry: mentre la maison dell’Equestrian Knight blu colpisce nel segno con la scelta degli ambassador facendo una ricerca a tappeto su terra inglese, Miu Miu sceglie i propri testimonial sempre in base ai follower, ma anche agli ideali e allo stile, capitando poi tra le braccia aperte di star come Mia Goth, Emma Corrin e Little Simz, che indossano il brand anche nei loro giorni off. È qui che casca l’asino - o forse dovremmo dire il cavallo - perché finché la presa culturale di un brand non riesce a esercitare il proprio potere oltre a una sfilata in Fashion Week, non importa quante star o nepo baby riesci a infilare in un trench: al termine dello show ricominceranno a mettere quello che vogliono e la gente che la segue comincerà a parlare d’altro. Per adesso, Burberry e il suo direttore creativo Daniel Lee sembrano decisi a continuare sulla stessa strada, a bordo di uno specchio d’acqua nel verde del Lake District, ma le ultime grosse perdite di fatturato e l’arrivo del nuovo CEO Joshua Schulman potrebbero finalmente aver disinnestato il tanto atteso vento del cambiamento. Del resto, nel Regno Unito il meteo è notoriamente imprevedibile.