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I reali di cemento di Han Kjøbenhavn

Jannik Wikkelsø Davidsen racconta la SS25 del brand

I reali di cemento di Han Kjøbenhavn Jannik Wikkelsø Davidsen racconta la SS25 del brand
Fotografo
Thomas Razzano

La Copenhagen Fashion Week è un idillio particolarmente funzionale. Tutto, dalle location degli show raggiungibili in bici ai capi inclusivi e sostenibili, sembra rifarsi ad un mondo ideale, non per questo artefatto ma sicuramente frutto dell’aspirazione platonica di essere la migliore versione di se stessi. Gli abiti, in tutto questo, non sono da meno. La capitale della moda danese si è dopotutto stabilita nella rosa delle città della moda apportando un concreto desiderio di instaurare una narrativa diversa all’interno dell’industria. Dunque, quando un brand si pone al di fuori di questo idillio - non ideologicamente ma esteticamente sia chiaro - quando una nuance scura macchia il feed dai toni neutri dei contenuti social geolocalizzati CPH, il contrasto è netto e rumoroso. Per la SS25 di Han Kjøbenhavn, nuvole drammatiche coprivano il cielo sopra l'area industriale, la prima pioggia nell’ultimo giorno della CPHFW, quasi a creare l’atmosfera adatta per uno show fatto di tinte scure, abiti strutturati, footwear oversize. Capi dalle scollature profonde, stivali chunky e spalle esagerate hanno dominato la passerella, con qualche accenno di femminilità e dolcezza, tra uno scultoreo vestito grigio scuro in ecopelliccia e un velo bianco che si è fatto abito, per chiudere lo show con un messaggio di speranza e purezza. Per raccontare un lato inedito della moda scandinava, l’intersezione tra le fiabe danesi e Demna Gvasalia, abbiamo incontrato il direttore artistico di Han Kjøbenhavn, Jannik Wikkelsø Davidsen, per una chiacchierata qualche giorno prima della presentazione della sua ultima collezione intitolata Royals.

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Dici spesso che il tuo scopo è “creare capi belli basati sull’emozione”, il concetto stesso di emozione sembra essere un tema ricorrente in tutte le tue interviste.

Lo è. Voglio dire, quello che intendo dire quando parlo di emozione è che cerco di non essere ponderato quando creo i miei capi. Con l’avvento dei social media sembra che ciascuno di noi assimili, spesso subliminalmente, un quantitativo di contenuti disumano, che tuttavia sembrano tutti uguali tra loro, come se fossero stati creati seguendo una ricetta già scritta. Io non credo di vivere davvero nel mondo di oggi, non ho mai avuto Facebook, se non fosse per lavoro non avrei mai aperto neanche un profilo Instagram. Quindi cerco solo di guardare dentro me stesso, creando. Le ispirazioni sono ricordi, sensazioni, frammenti di esperienze. E questa collezione è davvero super personale. Ma un'emozione è difficile da spiegare, perché a volte un'emozione può avere una forma, capisci? 

Lo studio delle forme geometriche è evidente in ogni collezione, quasi un gioco di proporzioni estremizzate oltre all’esplorazione di shape insolite. Anche questo tipo di ricerca nasconde un valore emotivo? 

Spesso per me un'emozione ha una forma specifica, come se mi guidasse nella realizzazione di un capo. La fine di una storia d'amore, un momento gioioso, un periodo difficile della tua vita, lo stress, l'ansia, tutto ha forme e texture diverse per me. Una massa informe che cerco di modellare, forse per mettere ordine. 

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Negli ultimi anni il tuo lavoro si è spostato ed affermato verso tinte più fosche, un po’ in contrasto rispetto ai colori e all’immaginario che siamo soliti attribuire a Copenaghen, apertamente in contrasto con l’estetica dominante. Quasi come se raccontassi un lato della città che siamo soliti ignorare nelle immagini edulcorate che scorrono sui nostri feed instagram?

La percezione è corretta. Penso che la moda danese e scandinava o più in generale, lo stile architettonico e di design, siano percepiti e rappresentati in un modo molto specifico. Io ho un approccio diverso perché la mia ispirazione è, di nuovo, personale, legata alla mia educazione, al mondo in cui vivo, una Danimarca più quotidiana. In inverno, il sole tramonta presto, abbiamo un mese e mezzo di estate quando siamo fortunati. E poi porto con me il mio background. Sono cresciuto in periferia, ma non come gli Hamptons americani, più come le banlieue di Parigi: tanto acciaio, metallo, cemento, tante industrie. Quindi in realtà sento di trasmettere o raccontare una storia più veritiera sulla Danimarca rispetto a quella che la maggior parte delle persone racconta.

Il titolo della tua sfilata, I reali di cemento, si riferisce a questo? È la storia delle tua infanzia nella periferia danese? 

È una storia di ragazzi cresciuti tra il cemento di una periferia, ma in Danimarca, che è una monarchia. Il punto di partenza di questa storia è grezzo e sporco dal punto di vista narrativo, ed è lì che porto elementi di bellezza. E ovviamente in questo anche il casting è essenziale: non puoi far funzionare nessun capo senza il casting giusto, semplicemente non funziona. Quindi il casting sarà "ruvido", quanto i capi. Una storia in equilibrio tra i contrasti ed è così perché è così che sono io.