Come il caldo sta cambiando la moda
E non solo per questioni di shopping
30 Agosto 2024
Capiamo che qualcosa non va proprio all'inizio dei saldi estivi, quando ci aggiriamo per le vie del centro a fare shopping. Mentre il sole ustionante si abbatte sulle nostre teste e il cemento ardente ci restituisce tutto il calore che vi si è accumulato durante la giornata, prendiamo una boccata d’aria fresca varcando la soglia dei negozi, dove ci aspetta un getto ghiacciato d'aria condizionata. Come ogni anno, i telegiornali internazionali affermano che stiamo affrontando l’estate più calda di sempre: negli ultimi tredici mesi, riporta il The Guardian, in zone sparse per tutto il mondo sono stati battuti un numero di record di temperature mai visto prima. Siamo ormai a conoscenza dei motivi dietro al problema ambientale che affligge il nostro Pianeta, dall'eccessivo consumo dei combustibili fossili alla deforestazione, dall’inquinamento causato dai fumi delle automobili a quello originato dagli sprechi materiali (fast fashion, plastiche, e chi più ne ha più ne metta). Guidato dalla Copenhagen Fashion Week, un passo avanti rispetto alle altre istituzioni quando si tratta di innovazione sostenibile, l’industria della moda si sta impegnando a risanare tutti gli errori commessi in passato, tra cui la sovrapproduzione, l'impiego di sostanze tossiche nelle tecniche di produzione e l’accumulo di rifiuti tessili. Con l’upcycling, l’inserimento di lavaggi meno aggressivi per il denim e una maggiore attenzione per i capi che durano nel tempo, la moda risponde alla richiesta sempre più pressante da parte degli acquirenti per articoli che rispettino l’ambiente. A causa del caldo stanno cambiando le necessità dei consumatori, i materiali e le silhouette su cui scelgono di investire, ma anche le loro abitudini di acquisto complessive. E mentre per le strade dei centri commerciali europei i clienti lamentano un'aria condizionata troppo fredda nei camerini, nelle fabbriche in cui sono stati prodotti i capi che stanno provando gli operai si ritrovano costretti a lavorare a temperature elevatissime, con il semplice ausilio di un ventilatore condiviso con i colleghi.
@nssmagazine BONNETJE repurposes old suits to create unique pieces. From blue shirts reborn as ruched tube tops, to fabric scraps combined to form 3D floral bodysuits, and futuristic little black dresses, micro bras, and maxi skirts. The brand, founded by Anna & Yoko, protests against contemporary society and the culture of waste, breathing new life into clothes that, as the designers would say, would otherwise remain "deceased." Alongside experimental design, sustainability remains a key element driving BONNETJE's artistic direction. #fashiontiktok #interview #fashion #copenhagen #cphfw #copenhagenfashionweek #beyondfashion original sound - nss magazine
A Milano, Londra, New York, Parigi, Berlino e Copenhagen è ormai impossibile non interessarsi alla sostenibilità. Con Fashion Week che si tengono in giro per il mondo e ormai tutto l’anno, dal mese di gennaio a marzo, da giugno ad agosto e poi durante tutto settembre, il freddo glaciale così come il caldo torrido che avvolgono le venue degli show sono la prova di quanto anche le capitali della moda siano colpite dal cambiamento climatico. Grazie all’esempio della Copenhagen Fashion Week, che da diversi anni si batte per promuovere la sostenibilità durante una delle settimane più caotiche dell’anno, la moda sta lentamente imparando come contribuire alla salvaguardia del Pianeta. «Quando abbiamo presentato un quadro che mostrava una direzione comune per la nostra comunità, è stata un'iniziativa accolta con favore», ha spiegato a Vogue Business la CEO di Copenhagen Fashion Week, Cecilie Thorsmark. «Molti brand cercavano solo che qualcuno dicesse loro cosa fare, invece di incoraggiarli a fare meglio». Attraverso requisiti e standard specifici (ad esempio, almeno il 60% dei materiali impiegati per una collezione deve essere certificato come deadstock o di fibre a basso impatto ambientale), la CPHFW ha dimostrato ai brand ciò che potevano fare in maniera concreta per rendere i loro metodi più sostenibili, influenzando di conseguenza non solo i creativi e i dirigenti che detengono il potere produttivo, ma anche quello dei consumatori, che hanno il potere più grande di tutti: quello d’acquisto. A distanza di sei anni dall’ingresso in campo di Thorsmark in quanto CEO della CPHFW, l’Unione Europea sta per lanciare nuovi regolamenti per la circolarità, come l’obbligo di passaporto digitale per tutti gli articoli in vendita in Europa, mentre le altre Fashion Week, a partire dalla vicinissima Berlino, stanno seguendo le orme della capitale danese.
Nonostante la moda si stia mobilitando per aggiungere sempre più misure per contrastare il cambiamento climatico, il caldo continua a influenzare l’industria in maniera drastica. Le anomalie ambientali, come le inondazioni e i problemi di siccità, in zone che fino a pochi anni fa non incontravano tali problemi stanno avendo risvolti drammatici sull’approvigionamento delle materie prime, così come sulla salute dei lavoratori di quelle terre. Secondo uno studio del Global Labor Institute dell’Università di Cornell, la fashion industry potrebbe perdere fino a $65 miliardi entro il 2030 a causa dell'innalzamento delle temperature, un risultato che potrebbe rivelarsi tragico non solo a livello finanziario, ma anche umano - basti pesare agli operai tessili costretti a lavorare in condizioni pessime, in fabbriche situate in alcune delle località più calde al mondo. Mentre ci accingiamo a comperare l’ennesimo crop top in vista della prossima estate - che sarà ancora più rovente di questa - o ancora mentre rimandiamo l’acquisto di piumini e maglioni in offerta, perché non sapremo se e quando ne avremo bisogno, l’intero sistema moda si ritrova a fare i conti non solo con un mucchio di consumatori disorientati, ma anche con problemi più gravi, ben oltre la semplice scelta tra un golf di cotone o uno in cachemire. Starà ai piani alti decidere quando cambiare modus operandi, ma soprattutto con quanta velocità agire.