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Il grande dibattito sull’oro riciclato

Trend, tracciabilità e questioni semantiche

Il grande dibattito sull’oro riciclato Trend, tracciabilità e questioni semantiche

Negli ultimi anni il mondo della gioielleria ha visto un incremento di interesse per i materiali riciclati. Come la fashion industry, il settore ha cominciato a cercare tecniche per ridurre  il proprio impatto ambientale e garantire produzioni etiche e sostenibili ai consumatori più attenti. Diverse aziende hannor promesso di utilizzare solo oro riciclato nelle loro creazioni, presentando la scelta come un esempio del loro impegno verso pratiche eco-sostenibili, come Pandora, il più grande acquirente di gioielli al mondo, e Prada, che ha fatto il suo ingresso nel settore solo qualche anno fa. Ma il crescente interesse verso l'oro riciclato non è sfuggito alle critiche: da una parte, gli addetti ai lavori – che rappresentano quasi il 3% della popolazione lavorativa mondiale – che sostengono che l’oro riciclato non apporti alcun beneficio in termini di sostenibilità; dall’altra, i gruppi e le associazioni ambientaliste che denunciano l’uso dell’aggettivo "riciclato" come l’ennesimo esempio di greenwashing e chiedono una definizione del termine più attenta.  

Il dibattito sull'oro riciclato è esploso pubblicamente quando Precious Metals Impact Forum (PMIF), un'iniziativa multi-stakeholder che sta facendo pressione per rendere le classificazioni dell'oro riciclato più rigide, ha pubblicato una lettera aperta criticando le difficoltà e le opposizioni della industry contro una ridefinizione del materiale. Già lo scorso aprile, l'Alleanza per L’Estrazione Responsabile aveva pubblicato una prima lettera intitolata "Old jewellery is not waste!” in cui si invitava a sostituire il termine «riciclato» con «riprocessato». Nella lettera si faceva ricorso alla definizione standard e ufficiale di "riciclaggio," ovvero il riprocessamento di materiali di scarto, dove lo scarto è inteso come rifiuto. Secondo i critici, questa è una delle prime contraddizioni, poiché l’oro – a causa del suo alto valore e della crescente domanda – non è quasi mai un materiale di scarto. Fanno eccezione gli avanzi provenienti dai prodotti elettronici (con cui erano state fatte le medaglie delle Olimpiadi di Tokyo 2020), il cui recupero è estremamente costoso - secondo il Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite, solo il 20% di questi viene effettivamente riciclato. La connotazione di “oro riciclato” è così vaga che qualsiasi oro rielaborato può essere venduto con questa etichetta, conferendo un’immagine  ingannevole circa il vero livello di sostenibilità del materiale. Patrick Schein, presidente dell'Alleanza per L’Estrazione Responsabile, ha spiegato al Financial Times che «portare l'oro artigianale sul mercato è costoso, quindi i produttori preferiscono utilizzare quello 'riciclato' invece di investire in fonti artigianali che, a causa della piccola scala di molte miniere, è costoso da far crescere in produzione».

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La questione dell’oro riciclato non è una semplice guerra semantica. In un'intervista a BoF, il gigante del lusso francese LVMH afferma che la specificità nelle definizioni sia necessaria, se serve a supportare processi e controlli più rigorosi sulla complessa catena di approvvigionamento dell'oro, perché i termini associati al materiale sono da definirsi corretti solo se aiutano veramente il cliente a risalire alle fonti responsabili dell’oro, invitando quindi all'istituzione di una filiera trasparente. Nel dibattito diventa centrale il tema della tracciabilità, poiché le normative di controllo diligente si fermano solo al primo fornitore. È inevitabile il rischio di imbattersi in oro proveniente da situazioni non controllate, come fonti di riciclatori di denaro, evasione fiscale, o ancora aree di conflitto. La catena di approvvigionamento del materiale diventa un groviglio di fili di cui è difficile rintracciare il capo d'origine, oscurando così le questioni sociali ed economiche che riguardano i minatori su piccola scala e le loro comunità. 

Per assicurarsi il completo controllo sul percorso dell’oro utilizzato e, di conseguenza, sulla sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente, alcuni brand come il marchio svizzero Chopard hanno stabilito una soglia di limite. «Il nostro obiettivo è mantenere una soglia minima del 60% di oro proveniente da miniere artigianali accreditate», ha affermato un portavoce dell'azienda. Nascono parallelamente anche nuove realtà che si concentrano esclusivamente sullo scarto d’oro dell’elettronica, producendo materiale definito “recovered”, ovvero recuperato. Ne è un esempio la compagnia britannica Royal Mint, produttore ufficiale delle monete inglesi, che sarà capace di recuperare fino a 4000 tonnellate di scarto d’oro all’anno, aggiudicandosi una posizione di rilievo nel settore del recupero dei metalli preziosi.