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I ricavi di LVMH sono calati di nuovo

Forse da incolpare è l’eccessiva dipendenza dal mercato cinese

I ricavi di LVMH sono calati di nuovo Forse da incolpare è l’eccessiva dipendenza dal mercato cinese

I ricavi di LVMH sono diminuiti per il secondo trimestre consecutivo in mezzo a un rallentamento delle vendite del lusso che nemmeno il principale conglomerato della moda riesce a rivitalizzare. Negli ultimi tre mesi, i ricavi sono scesi dell'1% in termini assoluti, rimanendo leggermente positivi su base organica, con un aumento del 2% considerati i cambiamenti valutari, tra cui un forte calo dello yen giapponese. I risultati hanno mancato le previsioni degli analisti di una crescita organica del 3-4%, situandosi dunque al di sotto delle aspettative. L'utile netto è diminuito del 14% a 7,27 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2024, anch’esso al di sotto delle previsioni degli analisti, mentre il profitto operativo ricorrente è sceso dell'8% a 10,65 miliardi di euro. Anche le fluttuazioni valutarie hanno avuto un impatto negativo, costando al gruppo 607 milioni di euro e facendo calare ulteriormente i profitti.  Il che non ha impedito al gruppo di investire pesantemente in marketing e sfilate. La sponsorizzazione dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi 2024, con un costo di 150 milioni di euro, diventa sempre più il catalizzatore delle speranze del gruppo di Arnault, che si attende un forte ritorno sulle sue iniziative di marketing di alto profilo. La sensazione che si prova, leggendo questi risultati, è che LVMH abbia due ordini di problemi: il primo è l’eccessivo affidamento a un boom del mercato cinese che si pensava sarebbe durato in eterno, che però venendo meno ha messo in crisi l’intera strategia del gruppo; il secondo ordine di problemi è che, anche se il gruppo è too big to fail, sta ormai diventando come una di quelle enormi case o giganteschi yacht le cui spese di mantenimento (in questo caso il marketing, le boutique, le sfilate e via dicendo) diventano sempre più alte col tempo che passa, appesantendo la struttura generale e privandola di quell’agilità che player più piccoli invece possiedono. Insomma, si può essere too big to fail ma anche too big to move.

La situazione, come si diceva, appare complessa in Cina e in tutto il continente asiatico: il calo delle vendite in Asia (Giappone escluso, ma ci torneremo a breve) è passato dal 6% dello scorso anno al 14% dell’anno in corso. In Cina il problema è duplice: da un lato ci sono diversi problemi nel mercato immobiliare, che la banca centrale cinese ha provato a risolvere tagliando i tassi di interesse, dall’altro c’è uno shift culturale per il quale la ricchezza e la sua ostentazione stanno incontrando la disapprovazione delle autorità che hanno anche promesso di «regolare adeguatamente i redditi eccessivi» dopo aver rimosso anche i profili di diversi influencer dai social media negli ultimi anni. Le fluttuazioni delle valute in Cina e a Hong Kong stanno impattando anche le vendite dei negozi duty-free di Hong Kong, Hainan e Macao, mentre è corsa allo sconto in Giappone, dove le vendite di LVMH sono aumentate del 57% operando anche aumenti di prezzo per compensare il cambiamento valutario. Negli Stati Uniti, le vendite di LVMH sono cresciute di un modesto 2%, riflettendo la crescente diffidenza del mercato, sicuramente debitrice del turbolento clima politico nel paese.

La divisione moda e pelletteria ha riportato vendite di 10,28 miliardi di euro nel secondo trimestre, con un aumento dell'1% su base comparabile, sebbene i profitti operativi in questa divisione siano diminuiti del 6%. Il margine di profitto operativo è sceso al 38,8% dal 40,5% dell'anno precedente, ma è rimasto elevato per i marchi di punta come Louis Vuitton e Dior. Quest’ultimo brand ha registrato risultati migliori di Louis Vuitton negli USA ma è rimasto indietro in Cina. LVMH ha anche aumentato i prezzi dei prodotti Vuitton del 2-3% all'inizio di luglio, il primo aumento da febbraio 2023. Ma anche altre cose sono aumentate: le spese per il marketing ad esempio e soprattutto quelle delle sfilate, che però, secondo Guiony, raggiungono quantità di spettatori enormi, tra i 300 milioni a 500 milioni. Le spese impreviste includono ulteriori investimenti per Dior dopo le accuse di sfruttamento del lavoro negli sweatshop italiani, che hanno anche causato non pochi problemi con gli investitori e hanno imposto un aumento degli audit e un’accelerazIone dell'integrazione verticale del processo produttivo. Come risultato, il gruppo ha rallentato le acquisizioni immobiliari pur continuando a investire nella ristrutturazione e ampliamento delle boutique. I segmenti di vini e liquori, insieme a orologi e gioielli, sono invece quelli che hanno performato peggio, con diminuzioni rispettivamente del 26% e del 19%. Nello specifico, orologi e gioielli ha visto ricavi al ribasso, anche a causa dei pesanti investimenti per il riposizionamento di Tiffany & Co. che ha richiesto 30 ristrutturazioni di negozi solo nella prima metà dell’anno, con un quarto delle sue boutique ora aggiornate al nuovo concept. Le vendite organiche sono diminuite del 4% nel secondo trimestre, mentre vini e liquori hanno registrato una diminuzione del 5%. I profumi e cosmetici sono aumentati del 4% e la vendita al dettaglio selettiva, guidata da Sephora, è aumentata del 5%.