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In Cina gli sconti sul lusso stanno diventando folli

Prezzi stracciati ai minimi storici per attirare clienti sempre più riluttanti

In Cina gli sconti sul lusso stanno diventando folli Prezzi stracciati ai minimi storici per attirare clienti sempre più riluttanti

La festa è finita. Se fino a pochi anni fa la Cina era una tavola imbandita per i brand di lusso, dove bisognava soltanto presentarsi per abbuffarsi di profitti, il paese che guidava la cresciuta del lusso sembra aver perso la voglia di fare shopping. Pubblicazioni come Bloomberg e il Financial Times hanno infatti rivelato che, da circa un mese, i beni di lusso sono scontati a livelli senza precedenti in Cina, con retailer multimarca (non singoli brand, che in Cina vendono all'ingrosso e cioè attraverso terze parti) che offrono riduzioni fino al 50% - praticamente implorando ai clienti di comprare qualcosa. Una cosa finora impensabile ma dovuta, secondo gli esperti, a due fattori: da un lato i consumatori della classe media che stringono la cinghia e dall’altro brand e retailer che si sono trovati sommersi da prodotti mai venduti. E il congelamento delle vendite ha smesso di riguardare solo gli abiti: anche l’industria dei gioielli di lusso, da sempre considerata forse più piccola ma inaffondabile dato il suo sicuro rapporto di price-for-value inizia a tossicchiare dato che anche Richemont, proprietario di marchi come Cartier e Van Cleef & Arpels ha registrato una performance in brusca frenata rispetto all'anno precedente considerato anche come, come spiega WWD, in tutto il resto del mondo si è registrata un’effettiva crescita. Una ricerca di Deloitte citata da Financial Times indica che la percentuale di cittadini cinesi intervistati che comprato almeno un articolo di lusso nel mese precedente è scesa dal 59% nel 2022 al 42% a giugno 2024. Federica Lovato, partner di Bain a Milano, ha evidenziato un diffuso sentimento di «vergogna del lusso», simile a quello che i consumatori americani ed europei provavano dopo la crisi finanziaria del 2008. I clienti ora preferiscono non essere visti con prodotti di lusso ostentati e borse per lo shopping, il che sta diventando sempre più rilevante in Cina, portando a una scarsa affluenza e traffico nei negozi.

Sempre secondo Financial Times, all'inizio di luglio, numerosi prodotti di Marc Jacobs erano venduti con sconti superiori al 50% su borse, abbigliamento e scarpe sulla piattaforma di e-commerce premium di Alibaba, Tmall Luxury Pavilion, mentre alcuni retailer offrivavano un prestito senza interessi di 24 mesi per l'acquisto delle borse di Bottega Veneta sulla stessa piattaforma. Numerosi multimarca online, sia di lusso che di fascia premium, hanno anche esteso la durata degli sconti e il numero di prodotti scontati nel corso dei primi sei mesi dell’anno. Già a giugno, secondo Bloomberg, è stato applicato uno sconto del 35% sulla borsa Hourglass di Balenciaga, venduta a 1.947 dollari USA su Tmall  - ovvero mille in meno del modello base che può toccare anche cifre ai 7000 dollari per la versione ricoperta di cristalli ma che sul sito americano del brand si aggira tra i 2600 e i 3000 dollari. Sempre per Bloomberg, c'erano sconti medi del 40% sugli articoli di Balenciaga in tre dei primi quattro mesi del 2024: da gennaio ad aprile, i prodotti in sconto erano il 10% del totale su Tmall, ovvero il doppio del normale per il triplo dei mesi, dato che l'anno scorso gli sconti duravano solo per gennaio e arrivavano a un massimo del 30%. Brand come Versace, Burberry e Givenchy sono risultati i più esposti a questi sconti applicati dai retailer: le fonti di Bloomberg hanno parlato di sconti del 40% nel 2023 che hanno superato il 50% quest'anno. Un tipo di infrazione di protocollo che tanti da questo lato del mondo invocano (ormai, tra insider dell'industria, dire che i prezzi hanno superato ogni livello di guardia è un nuovo clichè e gli stessi BoF e Financial Times non si stancano più di ripeterlo) ma che chiunque lavori nella moda riconosce come inconcepibile. O potenzialmente inconcepibile dato che tra gli scandali sulla manifattura a prezzi da terzo mondo, i rincari arbitrari e la questione dei mercati grigi è ovvio che a un certo punto qualcosa sarebbe successo. 

Jacques Roizen, direttore della consulenza cinese presso Digital Luxury Group, intervistato da Bloomberg, è apparso educatamente scioccato che questi sconti vengano offerti sul letterale sito di e-commerce più visibile al mondo, Tmall, paragonandolo a una svendita pubblica sugli Champs-Elysées. Purtroppo però nessun grosso dirigente o magnate ha ancora imparato che della classe media la moda ha un gran bisogno e che non conviene alienarsela, dato che i VIC capaci di spendere le cifre desiderate sono appena mezzo milione in tutto il mondo e considerato come il fast fashion continui effettivamente a vendere, segnalando la presenza di domanda e di capitali. Ad aggravare le difficoltà per i brand ci sono anche gli elevati tassi di reso su Tmall, alimentati da campagne promozionali che danno ulteriori sconti superate certe soglie di spesa inclusi i resi: praticamente un suicidio finanziario dato che moltissimi ordinano enormi quantità per avere sconti per poi restituire la merce creando un incubo logistico e un buco nei profitti. Ovviamente brand come Hermès, Chanel e Louis Vuitton hanno evitato gli sconti, senza sporcarsi le mani nel gran bazar dell'e-commerce e concentrandosi sulla coltivazione di VIC ricchissimi di cui la Cina non è certo sprovvista, strategia già seguita da player come Gucci, Prada e Miu Miu – tutti brand storicamente non amanti della distribuzione multimarca che viene adoperata col contagocce e che infatti non sono soggetti a scontistica praticamente da nessuna parte.

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Per tutti gli altri però la situazione sembra complessa. Sempre Bloomberg spiega che gli ordini online hanno rappresentato quasi la metà delle vendite di lusso in Cina nel 2023, con Tmall che da solo ha occupato la maggior parte di tale traffico, secondo la consulenza Yaok Group. La domanda in calo dal mercato cinese ha già danneggiato i guadagni del lusso: se brand come Kering o LMVH hanno segnalato un potenziale calo dei profitti a causa di una domanda meno intensa in Cina, un brand come Burberry ha visto circa metà del suo valore di mercato svanire in fumo e persino Chanel ha avvertito che le condizioni, anche nel segmento di fascia alta, stanno diventando più complesse. Anche lo yen debole del Giappone sta contribuendo al rallentamento delle vendite in Cina, dato che molti viaggiano in Giappone in cerca di tassi di cambio favorevoli per il proprio shopping. Insomma, una delle nazioni più popolose al mondo, oltre che una superpotenza mondiale, sta collettivamente scoprendo che il lusso che hanno comprato finora può costare molto, ma molto meno. Secondo il Financial Times, questo era un rischio più o meno preventivato del rivolgersi a grossisti cinesi che ragionano meno in termini di brand equity e più in termini di volume di vendita, dato che questi sconti non si svolgono nella discrezione dell’outlet ma online. Una lezione che speriamo i brand abbiano imparato dopo questo episodio.