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Senza i VIC la moda potrebbe crollare domani

Lo rivela un nuovo report di Altagamma presentato in settimana

Senza i VIC la moda potrebbe crollare domani Lo rivela un nuovo report di Altagamma presentato in settimana

La proporzione è già nota, ma le cifre sono forse le più realistiche e aggiornate: il 3% della popolazione mondiale adulta possiede il 40% del potere finanziario e circa i due terzi di questa minuscola frazione rappresenta lo zoccolo duro di ciò che lo studio True-Luxury Global Consumer Insights, co-firmato da BCG e Altagamma, definisce il segmento di clientela "Beyond Money". Il termine designa il vertice assoluto del lusso: i consumatori che spendono più di 50.000 euro annui in beni di lusso materiali o esperienziali per una spesa media di 350.000 euro ogni anno. Questo segmento è a sua volta diviso in tre livelli che vanno dalla fascia di persone che spendono dai 50.000 ai 300.000 euro ogni anno, a quelli che arrivano fino a un milione l’anno culminando nella fascia detta “Uber Money” che supera invece quella soglia. In breve, questo gruppo rappresenta l’1% della clientela effettiva e ciascuno di questi pochi individui vale per la moda quanto 230 clienti aspirazionali “normali” che spendono dai duemila euro in giù: il 21% della spesa totale del lusso viene proprio da loro. Inutile dire che, in un’epoca in cui la ricchezza non è mai stata concentrata come lo è adesso, questa fascia di clientela ultra-ricca ha raddoppiato la sua rilevanza per i brand nel giro di un decennio e adesso sarebbe impossibile privarsene senza far implodere l’intero castello di carta. Proprio durante la decima edizione dell'Altagamma Consumer and Retail Insight a Milano, martedì scorso, è emerso come la cresciuta dell’intera industria del lusso sia in effetti trainata dalla fascia più alta di consumatori, che include anche gli ultra-ricchi di cui sopra, i Very Important Clients (VIC) che, rappresentando in media il 30% dei ricavi dei brand, sono adesso essenziali alla loro vita.

Clienti o amici?

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Nei prossimi anni, è probabile che tutte le strategie dei brand si concentrino proprio sull’obiettivo di trattenere questi clienti. Per conquistarli, i brand hanno imparato prima di tutto a identificarli e a capire cosa desiderano più di ogni altra cosa: esclusività, qualità assoluta dei prodotti e dei servizi, esperienze uniche. Questo VIC non è un normale cliente: è un fedele, un seguace e un amico – o deve sentirsi tale. Le loro richieste di iperpersonalizzazione dei servizi si estendono alle corsie preferenziali dei tempi di attesa per prodotti one-off o altrimenti non disponibili al pubblico, la disponibilità di Client Advisor di alto livello e la creazione di un senso di comunità attraverso gift basket, inviti agli show, viaggi ed eventi del tutto chiusi al pubblico come le blindatissime cene in fashion week, gli incontri con il direttore creativo e via dicendo. Durante il convegno, Matteo Lunelli, Presidente di Altagamma, ha dichiarato che «la tenuta dei consumi è sostenuta dai Top Client, che stanno spingendo le imprese ad affinare e migliorare tutta la loro offerta, dai servizi all’eccellenza delle loro creazioni. […] Per rispondere alle aspettative di questa clientela sempre più esigente le imprese dovranno continuare ad investire in tecnologia e nell’attrazione di talenti con nuove competenze».

Un problema di relazioni personali

Ma questo già si sapeva più o meno. Ciò che lo studio ha evidenziato, però, è che la presenza di questa “élite nell’élite” (l’espressione è nostra) solleva un intero nuovo ordine di problemi per i brand che non riguardano, per una volta, la creatività, né le comunicazioni ma le relazioni personali dato che oggi serve comunicare con ciascuno dei «500.000 individui che rappresentano il 20-25% del mercato totale del lusso e crescono del 10% ogni anno (CAGR). Sono immuni ai cicli economici e alle crisi geopolitiche […] e presentano una spesa circa 5 volte meno volatile rispetto a quella del segmento di acquirenti aspirazionali», nelle parole di Filippo Bianchi e Guia Ricci di BCG, che hanno presentato lo studio. Ma qual è il problema? Secondo i due i VIC «acquistano in media prodotti di 10 marchi, ma vengono identificati e trattati come tali solo da 2 o 3 di questi. Per questo, nel 70% dei casi si perdono opportunità importanti, che potrebbero essere recuperate con una segmentazione più sofisticata del target». 



In altre parole, i maggiori brand di lusso del mondo saranno ben presto costretti a litigarsi i soldi e, in certi casi, l’affetto di un mezzo milione di individui sparsi in tutto il mondo e e dalle tasche profondissime che però sono i soli a poterli mantenere in vita.  La figura-chiave, in questo senso, è il Client Advisor, figura che rappresenta il punto di contatto tra cliente e azienda: il 70% dei VIC ha un Client Advisor di fiducia, e il 70% di questi cambierebbe brand se il loro Advisor si spostasse da un concorrente, tanta è la fiducia di cui godono per ogni tipo di acquisto. Ma qui sorge il problema: secondo lo studio, pochissimi vogliono intraprendere questa carriera (per altro, non molto reclamizzata) facendo degli advisor in attività, specialmente se bravi, una merce rara e molto contesa. È per questo che molti brand hanno lanciato ciò che lo studio definisce una “guerra dei talenti” combattuta a colpi di salari, incentivi e benefit competitivi, flessibilità e prospettive di crescita. 

Cosa rappresenta tutto ciò per la moda?

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Ci si chiede spesso, di fronte a una sfilata che magari non ci piace, chi sia il cliente che aveva in mente il direttore creativo – suggerendo implicitamente che le sue idee fossero confuse. Eppure lo scarto tra successo di critica e commerciale è una dura realtà: un designer amatissimo può essere sommerso dai debiti; un designer banale o, peggio, volgare può conoscere immenso successo. La verità è che il successo o il fallimento di un brand, così come l’alternarsi delle sue fortune, è in pugno a quel mezzo milione di clienti sparsi in tutto il mondo che potrebbero, volendo, comprare intere collezioni e dieci iterazioni della stessa borsa senza battere ciglio. Quegli stessi clienti che, più spesso che non, sono più attratti da un logo che da un’etichetta di composizione o dal design dei propri capi. I mega-ricchi, dopo tutto, sanno essere una clientela molto poco esigente se abbagliati abbastanza dal nome di un certo brand. Bisogna attendersi che, al di là dei prodotti “minori” come possono esserlo piccola pelletteria, occhiali da sole, beauty e profumi, questi sì destinati al grande pubblico degli “occasionali” diciamo così, il nuovo focus dell’attenzione sarà proprio su questa clientela di mega-ricchi, mentre tutto fa presumere che la clientela occasionale o aspirazionale sarà spinta verso i margini – almeno finché non troverà una valida alternativa e porterà il proprio denaro altrove, come del resto sta già succedendo.