Vedi tutti

La febbre immobiliare della moda

Per i big player del lusso è come un gioco d’azzardo

La febbre immobiliare della moda Per i big player del lusso è come un gioco d’azzardo

Questo martedì, si è tenuta a Milano la decima edizione dell’Altagamma Consumer and Retail Insight. Durante l’evento, che ha coinvolto collaborazioni dell’ente con BCG e Bernstein che hanno analizzato le evoluzioni del panorama del lusso sia dal punto di vista della clientela che da quello del retail. Nello specifico lo studio Luxury Retail Evolution di Bernstein, intitolato "Store Wars," si è concentrato su un fenomeno molto particolare emerso negli ultimi mesi, che potremmo chiamare la febbre immobiliare della moda. In breve, volendo segnare come punto di inizio del trend l’apertura del colossale negozio di Dior a Parigi, che è boutique, museo, ristorante e albergo tutti insieme, si è inaugurata una stagione di caccia all’immobile che ha coinvolto i principali gruppi industriali del lusso e ha portato a una serie di acquisizioni, spesso molto importanti sia dal punto di vista strategico che finanziario, che ha finito per trasformare le principali vie del lusso di Parigi, Milano, Londra e New York in enclavi del retail. Ma perché questa fretta di investire nel mattone? Luca Solca, Senior Research Analyst, Global Luxury Goods di Bernstein e autore dello studio ha spiegato:

«Negli ultimi cinque anni i grandi gruppi del lusso principali hanno speso nel retail circa €10 miliardi, con una forte accelerazione degli investimenti negli ultimi 18 mesi. […]. Gli investimenti dei gruppi più importanti stanno generando un effetto domino, portando chi può permetterselo ad avviarsi nella stessa direzione. Il rischio percepito è quello di vedersi esclusi dalle location più importanti, nello stesso modo in cui questo sta avvenendo nei migliori shopping malls in Cina». 

@itsmeislife Dior’s flagship store in Paris! #dior #30montaigne #paris GOATED. - Armani White

Lo studio di Bernstein ha dimostrato che il retail di lusso è entrato in una fase di escalation per quanto concerne il posizionamento dei negozi, la grandezza degli immobili, i servizi che possono essere forniti al loro interno. Secondo il nuovo playbook, il negozio o il centro commerciale di lusso deve, ci si passi l’espressione, assomigliare a uno di quei casinò di Las Vegas: ovvero deve essere bello e instagrammabile, ovviamente, ma anche far perdere la nozione del tempo a chi ci entra dentro immergendolo nella maniera meno metaforica possibile nell’universo di un certo brand. La cosa non è nuova – già adesso, entrando in una delle molte boutique di lusso di Montenapoleone, si può notare il tentativo architettonico di tagliare fuori il mondo esterno attraverso la relativa mancanza di finestre che non siano le vetrine e il posizionamento delle sale VIP in parti remote e isolate dell’edificio. Proprio come nei casinò, dove ci sono giochi che vanno dalle semplici slot-machine ai tavoli da blackjack, anche queste nuove boutique devono rivolgersi a tutti i segmenti di mercato: vicino all’ingresso ci sono le borse, i profumi e la piccola pelletteria da comprare; più ci si addentra più i prodotti diventano impegnativi per culminare nelle sale private dove, tra un calice di champagne e l’altro, avvengono le transazioni più remunerative. Sempre come i casinò, inoltre, le “nuove” boutique funzionano anche come attrazioni turistiche e musei, per certi versi, non diversamente dal Cesar’s Palace e dal Bellagio a Las Vegas.

Ma un dato emerso nello studio mostra che non sempre le mega-boutique sono quello che ci vuole, anzi. Spesso questi vasti edifici sono giochi “da grandi” il cui costo potrebbe facilmente rovinare aziende più piccole, dal momento che investire in immobili tende a diluire il ROIC (Return on Invested Capital, ovvero il guadagno portato dall’investimento). Questo è particolarmente problematico per le aziende che generano e investono meno soldi, poiché il guadagno ottenute da queste boutique è di circa il 2%. Una diluizione dell'investimento che porta a un peggioramento della performance azionaria e una svalutazione dell’intera azienda in termini finanziari. E in un mercato così aggressivo, diminuire il valore di un’azienda significa renderla il potenziale bersaglio di acquisizioni.

Questo senza menzionare come investimenti tanto importanti rischiano di impattare le risorse che servono ai brand per sostenere attività quotidiane, come la manutenzione ai sistemi informativi e tecnologici, dalle risorse del personale al marketing – tutte spese che tengono in vita il brand in questione e il suo punto retail. Insomma, proprio come nei casinò è meglio non puntare troppi soldi in un gioco in cui si rischia di perdere, motivo per cui gli indirizzi del lusso “alternativo” spesso sono decentrati rispetto alle classiche vie dello shopping. Un investimento molto vantaggioso, con costi operativi inferiori di un decimo rispetto al classico negozio, sono infatti le boutique su appuntamento per soli VIC – ambito in cui Chanel e Gucci hanno già iniziato a lavorare da qualche anno. Ma ora che le principali vie delle capitali europee sono del tutto piene di boutique, quale sarà il prossimo terreno di gioco del lusso?