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I concerti sono le nuove sfilate?

In parte sì, in parte sono anche meglio delle sfilate

I concerti sono le nuove sfilate? In parte sì, in parte sono anche meglio delle sfilate

C’era un tempo in cui i cantanti erano solo cantanti: se vedendoli a un concerto il loro oufit colpiva il pubblico, non c’era veramente modo di andare a cercare chi avesse firmato il loro abiti. Non che la moda non fosse presente di per sé, specialmente nei videoclip dove le popstar indossavano il meglio delle sfilate dei primi 2000, ma semplicemente non venivano fornite troppe informazioni a riguardo. Oggi le cose sono diverse: gli outfit indossati da Beyoncé e Madonna nei loro tour mondiali sono scrupolosamente analizzati e catalogati, quelli di Taylor Swift hanno addirittura il potere di mandare in sold-out i brand che indossa; e in certi casi i cantanti stessi sono ambassador di brand che li vestono per l’intera durata dei propri tour. Ma se Celine scrittura i rocker amici di Hedi Slimane a destra e a manca, Etro stringe deal con Angelina Mango e Diesel con Damiano David e Prada veste Troye Sivan dentro e fuori il palcoscenico, molti concerti e scatti di cantanti stanno iniziando a creare dei fashion moments a sé stanti: pensiamo a Kendrick Lamar che si presenta a uno show con una hoodie The Row, pensiamo a Taylor Swift che fa esplodere le vendite di Area indossando gli slit jeans ricoperti di cristalli del brand, Lana del Rey in Dolce&Gabbana e, qui in Italia, Mahmood che grazie a Lisa Jarvis è diventato la popstar più fashion-forward del paese. Insomma, se già in passato la moda flirtava pesantemente con la musica, oggi richiede un impegno più duraturo, più pubblico e, soprattutto, più redditizio. Ma come mai i concerti sono diventati le nuove sfilate?

L’accelerazione del sodalizio tra moda e musica è il frutto di moderne esigenze di marketing e soprattutto è stato sperimentato con enorme successo negli ultimi anni con il boom del K-Pop. L’ecosistema degli idols coreani, infatti, è un ambiente più rigidamente formalizzato rispetto a quello a cui noi siamo abituati, un terreno che si presta in modo eccellente a partnership individuali e di gruppo. È il caso degli ENHYPHEN, boy band coreana divenuta una presenza fissa agli show di Prada; è il caso ancora più eclatante delle BLACKPINK i cui singoli membri sono essenzialmente diventati potenze della moda, tra cui Jennie che ha di recente sfilato a Capri per Jacquemus; è il caso dei Riize e del rapper thailandese BamBam di recente inseriti nella grande famiglia di Louis Vuitton. Gli outfit di queste e altre star, la cui fandom è molto più online e assurdamente più accanita di quanto altrove si possa concepire, vengono decostruiti e identificati online, imitati a forza di dupe o nei casi migliori replicati, l’attenzione che ricevono è tale che anche la cultura pop occidentale ha assunto un medesimo interesse nell’identificare i brand indossati dalle star che, a loro volta, affidandosi a stylist di rilievo, hanno anche iniziato a espandere la propria tavolozza stilistica trasformando festival musicali polverosi come Sanremo in una passerella di moda lunga cinque giorni: case in point, Mahmood che indossa di recente una tuta della collezione SS24 di Dion Lee – un brand molto apprezzato e molto “da insider”, che testimonia un apprezzamento e un livello di ricerca che vanno molto oltre i quadri di riferimento abituali per i cantanti italiani che, solitamente, preferiscono giocare in casa quando si parla di moda.

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Se la sfilata è diventata oggi uno strumento di marketing sul piano dell’intrattenimento, e dunque ha iniziato ad arricchirsi di esibizioni live come nel caso del concerto jazz di Amiri alla Paris Fashion Week o della video-performance dei Glass Beams allo show  di Undercover (per fortuna alla moda interessa anche la musica indie) ma anche di performance come quella vista da Rick Owens, il concerto di una popstar è qualcosa di enormemente più grande. In primo luogo perché gli spettatori di un concerto sono praticamente programmati per adorare gli outfit delle proprie star; in secondo luogo perché l’outfit di un cantante richiama a sé un’attenzione molto più elevata di quella che ottiene in passerella; in terzo luogo perché da un punto di vista comunicativo il brand opera in una community dai contorni già ben definiti che ha una probabilità molto più alta di rispondere allo stimolo promozionale e “diffondere il verbo” tramite repost, tag e ovviamente andando in prima persona a comprare dal brand in questione. Quanti uomini fuori dalla moda hanno scoperto Miu Miu grazie a Tony Effe? E quanti Loro Piana, Lacoste, Burberry? L’impatto del rapper romano è emerso in tutta la sua potenza nell’unico momento della Milan Fashion Week in cui l’indeterminazione tra sfilata e concerto è stata totale: la presentazione di PDF di Domenico Formichetti in cui moda e musica, show e concerto erano entità indistinguibili. Ma, per tornare ai concerti e ai cantanti, con il rinnovato amore collettivo per le esperienze dal vivo, la simbiosi di moda e di musica sembra non solo già pienamente in essere ma pare anche funzionare alla grande. La vera domanda a questo punto è: come si espanderà?