Ma è davvero moda quella del Pitti?
Quando una distinzione sarebbe necessaria
14 Giugno 2024
Quanta moda è troppa moda? Ce lo chiediamo al principio della tappa italiana del fashion month che, come ogni anno, porta al curioso dislocamento di stampa, buyer, designer e compagnia cantante tra Milano e Firenze. Un dislocamento che ogni anno di più, vede Pitti Immagine Uomo allargarsi e diventare più internazionale (il 46% dei brand presenti quest’anno non sono italiani) accogliendo format e debutti normalmente appannaggio della Milan Fashion Week, che a prescindere di qualunque passata occasione storica è oggi l’unico vero evento capitale della moda italiana. In effetti, la differenza tra Pitti Immagine e Milan Fashion Week è qualcosa di indefinibile finché non ce lo si trova davanti – e le due manifestazioni, così contigue temporalmente e tematicamente, iniziano a diventare confuse. Al punto che diversi brand che presentano al Pitti Immagine presenteranno comunque alla fashion week, altri faranno attivazioni su entrambe le città per il solito spirito di presenzialismo mentre altri ancora, arrivati da fuori, faranno lì una propria sfilata che finirà inevitabilmente per diventare un prologo, almeno sul piano del percepito, alla Milan Fashion Week. Addirittura quest’anno Max Mara ha anche fatto sfilare la propria collezione Resort a Venezia nel primo giorno del Pitti, aumentando la dispersione geografica delle iniziative della moda. Insomma, più una manifestazione vuole somigliare all’altra, più le differenze tra i due emergono – tanto più che lo zoccolo duro del Pitti ha sempre meno in comune con un’industria del lusso che, come una mongolfiera senza zavorre, continua, più che a librarsi in cielo, a cadere verso l’alto. Siamo sicuri che quella del Pitti sia moda?
L’impressione è che Pitti Immagine voglia diventare una fashion week senza rinunciare al numero immenso di brand grandi e piccoli che lo frequentano, né modernizzare una modalità di esibizione che nel 2024 risulta obsoleta – se non altro per la sua onnivora, babelica inclusività. Marchi di eccellenza giapponesi, linee di abbigliamento per la bicicletta, sneaker artigianali fatte a mano, uno stand dell’aeronautica militare, presentazioni di libri e riviste, costumi da bagno, brand specializzati in sole bretelle o cinture intrecciate ma anche uno stand dedicato all’abbigliamento per cani. La mappa dell’attuale allestimento di Fortezza da Basso sembra un’enorme cittadella ramificatasi attraverso un nodo gordiano di padiglioni, installazioni, stand e infopoints. Il percorso che anima quest’edizione con 790 espositori è scandito attraverso aree dedicate alle più diverse categorie (“Fantastic Classic” per i classici, “Dynamic Attitude” per l’athleisure ma anche “I Go Out” per l’outdoor, tra le altre). E questo senza menzionare i talk, i pop-up, le cene e via dicendo. Se la stazza di Pitti Immagine (che ha anche edizioni dedicate ai soli filati o all’abbigliamento per bambini) supera quella della Milano Fashion Week, quest’ultima ha un impatto mediatico assai più alto: l’anno scorso, le interazioni IG complessive dell’edizione estiva di Pitti Immagine erano state 718.000, quelle della Milan Fashion Week immediatamente successiva 2,3 milioni. E questo non solo perché il Pitti è in fondo dedicato a buyer, stampa e specialisti ma anche perché i molti brand presenti hanno più a che fare con l’abbigliamento che con la moda in sé e per sé – tanto che gli unici eventi segnalati nelle rassegne del “cosa aspettarsi” riguardano realtà con base a Milano o dei “visitatori della moda” che come alieni atterrano a Firenze per un one-off stagionale.
Ovviamente il punto di una fiera di settore è portare l’intera industria insieme, dunque è un bene che i brand siano tanti e vari, ma suona scorretta l’insistenza con la quale si parla di Pitti Immagine come manifestazione del mondo della moda quando a essere messo in mostra è spesso del semplice abbigliamento. Senza dubbio di qualità ma comunque abbigliamento. Dopo tutto, quale trend capace di conquistare il mercato è mai uscito da Pitti Immagine? Ne escono dalla fashion week, per cui comunque la presenza di Pitti Immagine non sarebbe un problema in sé se potesse situarsi a una certa distanza, provando a costruire un discorso culturale intorno al settore dell’abbigliamento premium che ne costituisce l’effettiva sostanza. Tanto più che in tempi di crisi del lusso come quelli in cui ci troviamo ora (ma anche l’attuale presidente di Pitti ha parlato di un momento delicato) operare una distinzione tra la moda stagionale di Milano e l’abbigliamento timeless del Pitti potrebbe presentare diversi vantaggi. In primo luogo perché i brand coinvolti risultano parecchio più “autentici” dei mega-nomi del lusso massificato; e in secondo luogo perché a questi brand conviene posizionarsi negli strati superiori del segmento middle-market che la moda di lusso si è da tempo lasciata alle spalle, abbandonando vasti segmenti di clientela al fast fashion.
Comienza el Pitti Uomo y yo estoy ya así pic.twitter.com/c2iWmRTSvX
— Don Raggio (@Raggiomoral) June 11, 2024
Questo mondo di brand di medio-mercato, magari anche storici nei casi migliori ma davvero poco pubblicizzati e dotati di un’immagine antiquata, non solo ha bisogno di una fiera di settore per conoscere distributori e compratori, ma anche di una vetrina e di una narrazione moderne che li sappiano valorizzare anche agli occhi del grande pubblico, facendone un “sistema” più o meno unitario e riconoscibile proprio come succede con la moda di lusso. Certo, il format della mega-fiera, suddivisa in centinaia e centinaia di stand, può funzionare sul basico livello commerciale ma non aiuta a fare crescere la scena dell’abbigliamento premium (alcuni dei brand hanno livelli di qualità identici se non superiori al lusso) sul piano dello spessore storico e culturale, non aiuta quei brand a parlare direttamente con il pubblico, costruendo storie e proponendosi come alternative valide, storicamente e qualitativamente, al mondo della moda. Forse è il momento che Pitti Immagine metta meglio a fuoco la sua immagine (i lettori perdoneranno questo gioco di parole) e decida cosa vuole essere oltre all’autoproclamatasi “più importante piattaforma internazionale di moda e lifestyle uomo”. Dopo tutto, tra essere tutto ed essere niente si può sempre scegliere di essere qualcosa.