Storia della kefiah
Dalle origini storiche alle apparizioni in passerella
13 Giugno 2024
Che sia per le strade di una capitale europea, nei campus di un’università americana, o sui red carpet di eventi internazionali, tra le proteste pro-palestina di tutto il mondo si distingue tra la folla un ricamo estremamente riconoscibile. Un motivo ad onde, accompagnato da un motivo a rete da pesca, e infine strisce più larghe. Dall'inizio del conflitto tra Israele e Hamas la kefiah è diventata un simbolo di solidarietà verso la popolazione palestinese. Prova di come la moda possa contribuire ad una conversazione globale andando oltre un principio d’estetica, si è trasformata in un simbolo di resistenza, una testimonianza visibile del pensiero libero e un promemoria del genocidio. Purtroppo, nel corso degli anni non sono mancati i tentativi di distorcere il significato: la kefiah è stata etichettata come simbolo di paura e d'odio (in alcune scuole in Germania, è stata vietata perchè considerata antisemita), così le radici storiche del copricapo sono state offuscate.
Le origini storiche della kefiah
Nata originariamente come copricapo tradizionale dei contadini arabi per proteggersi dal sole, sembra che la parola stessa, Kefiah, abbia origine in Iraq, nella città irachena Kufa, vicino a Baghdad. Anche i ricami sembrano fornire indicazioni sulla provenienza: alcuni sostengono che rappresentino le reti dei pescatori e le foglie d’ulivo dei territori palestinesi, altri credono che le foglie siano quelle delle palme tipiche delle terre irachene. Nonostante la mancanza di una narrativa comune, il motivo ha assunto la sua attuale connotazione politica durante la grande rivolta araba del 1936 contro il protettorato britannico in Palestina. Tra la folla in protesta contro il potere mandatario c'erano dei combattenti che utilizzavano la kefiah per coprirsi il volto, ed è riportato che, il 27 Agosto 1938, chiesero a tutto il popolo palestinese di indossare il copricapo per mimetizzarsi con la folla e mantenere l’anonimato. Alla fine degli anni ‘60, a seguito della Guerra dei Sei Giorni, la bandiera palestinese fu vietata nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania (un divieto revocato solo nel 1993, con gli Accordi di Oslo). La kefiah divenne così un’alternativa, diffondendosi in tutto il mondo come simbolo dell’identità e della cultura palestinese. A contribuire alla sua circolazione furono anche il leader politico palestinese Yasser Arafat e una fotografia della militante attivista Leila Khaled. Scattata dal fotografo americano Eddie Adams, l'immagine in cui Khaled impugna un AK-47 aiutò a rimuovere la kefiah da un’estetica esclusivamente maschile, come spiega lo storico Nadim Damluji, e a incitare la partecipazione femminile alla resistenza palestinese in tutto il mondo.
La kefiah nella pop culture e nella moda
Tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, la kefiah divenne anche un’icona anti-imperialista, indossata da rivoluzionari come Fidel Castro e Nelson Mandela. A sua volta, nel mondo dell'arte, assunse un significato anti-autoritario, con Madonna che la indossò in un servizio fotografico del 1982. Dopo gli Accordi di Oslo (ma secondo alcuni anche prima), la kefiah iniziò a perdere la sua connotazione politica nel mondo occidentale diventando un accessorio come un altro. Secondo un sondaggio di quegli anni della Campagna dei Diritti Umani della Palestina, solamente una persona su tre indossava la kefiah per motivi politici. Il cambiamento venne rappresentato anche nella cultura popolare: nel 2002, la costume designer Patricia Field scelse il motivo per Carrie Bradshaw nella quarta stagione di Sex and The City. Non è chiaro se e quanto Carrie fosse consapevole del suo significato, sicuramente però lo era Field, che scelse il brand Michael and Hushi di Michael Sears e Hushi Mortezaie per il design. Il duo aveva attirato l'attenzione mediatica con il loro debutto in passerella nel 2001, facendo sfilare una collezione con iconografie palestinesi e iraniane, nonché frasi come “The right to bear arms” e il famoso vestito rosso con stampa kefiah.
Se Sears e Mortezaie utilizzavano la kefiah come veicolo di dibattito e provocazione politica, altri invece contribuirono al suo declassamento a semplice accessorio. Uno dei primi fu Raf Simons che, nell’inverno del 2001, la rese protagonista con la collezione FW01 “Riot, Riot, Riot” - aspramente definita «terrorist chic». Qualche anno più tardi, nel 2008, la proposero anche Balenciaga, sotto la direzione di Nicolas Ghesquière, e la designer francese Isabel Marant, rendendola uno degli accessori must-have della stagione. La popolarità raggiunta dalla kefiah a metà degli anni 2000 è paragonabile a quella raggiunta dalla T-shirt con l’immagine di Che Guevara, un simbolo ormai spoglio del sentimento politico e rivoluzionario d’origine. In America e in Regno Unito, la kefiah arrivò a far parte delle proposte dei mall brand, con Urban Outfitters che la produsse in diversi colori ribattezzandola come “anti-war woven scarf” – titolo che provocò una serie di polemiche fino alla rimozione dell'articolo dal mercato – e TopShop in un ricamo fatto di teschi (sull'onda della Skull Scarf di Alexander McQueen), attirando una simile reazione.
La kefiah oggi
Nel 2008, la giornalista Rachel Shabi intervistò per The Guardian la famiglia Hirbawi, primi e unici proprietari di una fabbrica autentica di kefiah palestinese nella città di Hebron. Al tempo, nonostante ci fosse un’elevata richiesta di articoli con la stampa palestinese sul mercato occidentale, la fabbrica era a rischio di chiusura. In conversazione con Shabi, la famiglia denunciò le importazioni di tessuto che arrivavano dalla Cina, spopolate a partire da metà degli anni ‘90, e i grandi marchi di moda che avevano trasformato il motivo in un accessorio di lusso. Da un lato c’era Balenciaga con una kefiah sul mercato a 3 mila sterline, e dall’altra c’era la kefiah Hirbawi, venduta per solo 3 sterline. La fama della fantasia bianconera della kefiah nel mondo della moda aprì un dibattito, ancora rilevante, sull'autenticità dell’uso occidentale e sulla sua appropriazione culturale. I marchi di moda che utilizzarono il ricamo furono accusati di un atteggiamento inconsapevole e irrispettoso, degli usi e costumi della cultura palestinese. Tra questi anche il marchio francese Louis Vuitton che, nel 2021, presentò sotto la direzione creativa di Virgil Abloh una kefiah in azzurro con il logo LV, in vendita per 705 dollari. Il profilo Instagram Diet Prada la segnalò in relazione alla presunta posizione neutrale del gruppo proprietario della maison, LVMH, criticando il brand di contribuire alla commercializzazione del copricapo palestinese.
Oggi, la kefiah ha riacquisito la sua connotazione politica e culturale originale, soprattutto tra le nuove generazioni di attivisti che la utilizzano come simbolo di solidarietà e resistenza. Lo scorso gennaio, alla Paris Fashion Week, il marchio tedesco GmbH chiuse la sfilata con giacche che riportavano la stessa stampa. In un’intervista con Dazed, i designer Serhat Isik e Benjamin Huseby affermarono di non aver paura di risultare politici. «Siamo interessati alle possibilità politiche e formali della moda come mezzo di scambio interculturale. Come stilisti, normalmente esprimiamo i nostri pensieri attraverso l'abbigliamento e lasciamo il resto all'immaginazione. Ma viviamo in tempi pericolosi, dove è necessaria la precisione delle parole». A Milano, la kefiah è apparsa sulla passerella di Salvatore Vignola, con una collezione intolata "If I Must Die", e ispirata alla poesia del poeta palestinese Refaat Alareer, ucciso a Gaza il 7 Dicembre 2023. Vignola donò i ricavi delle vendite a Palestine Red Crescent Society, un’organizzazione che assicura aiuto umanitario in Palestina.
Sul red carpet del Festival di Cannes, sono state tante le celebrity che hanno mostrato solidarietà al popolo palestinese. Jasmine Trinca ha indossato una spilla con la bandiera palestinese, Cate Blanchett ha sfoggiato un abito con i suoi colori, e Bella Hadid (che ha donato insieme alla sorella Gigi un milione di dollari in sostegno ai profughi palestinesi) è stata vista con il vestito di kefiah rosso di Michael and Hushi. Agli eventi di stile, così come tra le proteste in strada, c’è una maggiore consapevolezza sul significato del copricapo, forse anche grazie alla globalizzazione delle immagini attraverso i media moderni. Cresce il desiderio di utilizzare la kefiah per rappresentare una connessione tangibile con la lotta e la resilienza del popolo palestinese, e per dichiarare una posizione anti-coloniale e anti-autoritaria, per le strade di tutto il mondo.