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Ascesa e boom di Substack

Oasi digitale per influencer smarriti

Ascesa e boom di Substack Oasi digitale per influencer smarriti

Nell’età d’oro dei social media, piattaforme come Vines, Instagram, e per un po’ anche TikTok, ci hanno convinti che le informazioni erano meglio comunicate se in maniera concisa e diretta - sei secondi al massimo. Oggi sentiamo ancora la mancanza della comicità sfrontata di Vines, ma allo stesso tempo abbiamo imparato ad apprezzare i contenuti in formato lungo. Dal cinema, che adesso pullula di film che vanno oltre le due ore e mezza, ai social media stessi, che hanno aggiornato la loro bussola algoritmica per promuovere video di oltre tre minuti, tutti gli spazi che fino a poco tempo prima si credevano finiti, condannati a farsi piccoli per compiacere un pubblico afflitto da gravi disturbi dell’attenzione, hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. Parallelamente alla diluizione dei contenuti mediatici, i media stanno assistendo ad una forte scossa nel mondo dell’influencer marketing. L’inserimento di ulteriori regolamentazioni per i contratti tra marchi e creator, l’aumento di pubblicità sulle piattaforme, ma anche la crescita smisurata del numero stesso di influencer hanno reso il mercato saturo e i consumatori stanchi. È in questo quadro esasperato e sconquassato che entra in campo Substack, piattaforma dedicata alle newsletter e nuova frontiera dell’influencer marketing. Nato nel 2017, amato fin da subito da giornalisti e scrittori, il network per creator indipendenti quest’anno ha subito un boom di abbonamenti in tema di moda e beauty - dell’80%, secondo i report dell’azienda di gennaio 2024. Tra le mura sicure di un paywall, le influencer hanno trovato un nuovo spazio in cui dare consigli di stile. 

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Da un certo punto di vista, l’ascesa di Substack come nuovo spazio per gli influencer era da prevedersi. Il regno delle #paid e dei #gifted subisce da anni un lento ma imperdonabile fenomeno di disinnamoramento, sia da parte del pubblico, che di vedere lo stesso tè dimagrante passato da un account all’altro non ne ha più voglia, sia da parte dei creator, che sono ormai stufi di dover rispondere all’algoritmo Meta e di vedersi le entrate dimezzate da agenzie e simili. La chiamano “influencer fatigue”, la sensazione di stanchezza provata dagli utenti nei confronti della sovrabbondanza di pubblicità sui social media, un fenomeno che sta lentamente rosicchiando le fondamenta dell’impero marketing delle piattaforme online. In uno studio condotto da YPulse, il 61% dei giovani (tra i 13 e i 39 anni) ha ammesso di non fidarsi degli influencer che postano troppi annunci pubblicitari, mentre il 65% ha dichiarato di preferire i consigli di creator con un seguito minore. L’“influencer fatigue” è uno dei principali moventi dietro lo spostamento da parte degli influencer da Instagram e TikTok su piattaforme indipendenti: lo scorso autunno avevamo riportato l’ascesa di SMTM, un generatore di siti in cui i content creator possono archiviare ogni articolo mai indossato con una lista di link affiliati da cui prendere una percentuale. Con una tagline che evidentemente si rifà alla filosofia di Substack – «Crediamo che siano i creator a dover possedere le loro piattaforme, non le piattaforme a possedere i creator» – si tratta di una newsletter per influencer che riconoscono il potenziale di una pagina rimboccata di link, ma non hanno il tempo o la voglia di scrivere. Comunque, il boom di iscrizioni a Substack per la sezione moda imperversa, a conferma della voglia di nuovi orizzonti, più liberi e meno regolamentati, da parte dei content creator e di chi li segue. 

Per Emilia Petrarca, scrittrice freelance, ex senior fashion writer per The Cut, aprire la newsletter Shop Rat è stata una scelta dettata dalla nostalgia, ma anche dagli ostacoli del giornalismo libero professionista. «Dal pitch al pagamento, tutto ciò che riguarda i freelance richiede un sacco di tempo», racconta Petrarca. «Mi mancava la possibilità di fare post veloci e divertenti come facevo a The Cut. Mi mancava anche interagire con le persone, la newsletter è un ottimo motivo per uscire e immergermi nella città. Inoltre, naturalmente, è una fonte di reddito costante, il che è un enorme sollievo». Tempismo e sicurezza economica a parte - che, a giudicare dalla descrizione della scrittrice, sembrano davvero rendere Substack il paradiso digitale che vanta d’essere - ciò che rende la piattaforma per newsletter un'oasi ideale per influencer smarriti è l’autenticità che si respira. Con un seguito che si calcola in base al tempo di lettura, invece che al numero di click, su Substack il pubblico migliore è quello ristretto, ma fedele. «Mi sembra più genuino, ed è per questo che sono un po' preoccupata per gli “influencer” che usano la piattaforma per vendere cose con cui non hanno necessariamente un legame emotivo», aggiunge Petrarca. «Per me, Substack dà il meglio di sé quando sembra una corrispondenza intima, non una pubblicità, e spero che rimanga così. Ma, ehi, gli scrittori devono fare soldi, quindi non giudico». 

Il successo di Substack tra gli influencer di moda non giova soltanto alle tasche dei content creator, che possono contare sulla garanzia di abbonamenti mensili o annuali che vanno in media da 5 a 8 dollari per utente al mese, ma anche a quelle della piattaforma. Substack riporta che da luglio 2018 a febbraio 2021 è passata da 11mila a 500mila utenti iscritti a pagamento, e che a gennaio 2024 erano attivi 49,4 milioni di utenti, per 2 milioni di abbonamenti a pagamento. Come racconta uno dei due co-fondatori di Substack, Hamish McKenzie, in un’intervista a Thought Economics, la start-up rappresenta la controparte perfetta alle app che fanno leva sul livello di attenzione degli utenti. «Le cose che vengono premiate in questi sistemi sono quelle che provocano, dividono e scatenano l’indignazione», afferma McKenzie commentando come i social media hanno trasformato la comunicazione dell’economia mediatica. Con gli abbonamenti a pagamento, aggiunge, è stato possibile «monetizzare la fiducia piuttosto che il contenuto. I lettori possono diventare clienti e pagare direttamente gli autori di cui si fidano». 

Le infinite possibilità economiche e creative di cui è equipaggiata Substack - le newsletter sono un dominio assolutamente privo di limiti: possono essere di 100 o di 10mila parole, contenere qualsiasi tema e variare per font, grafiche o colore a seconda delle proprie preferenze - la rendono un parcogiochi idilliaco per tutti quelli che hanno voglia di scappare dalle leggi vincolanti di Meta. Allo stesso tempo, però, come tutte le piattaforme indipendenti che subiscono un picco di attenzione mediatica, rischia di finire fuori strada, o meglio, di venire spinta fuori strada dalla concorrenza. Dopo aver “preso in prestito” alcune funzioni da Snapchatda BeReal e da X, Instagram sta adocchiando le potenzialità dei contenuti a pagamento. Nel 2022, ha lanciato Instagram Subcriptions negli Stati Uniti, adesso disponibile anche in Europa e in Australia, in Giappone, nel Brasile e nel Regno Unito. Per molti versi, la recente crescita di Substack preannuncia un momento critico per la piattaforma. Di fronte ad una nuova ondata di iscrizioni da parte degli influencer e alla conseguente invidia di Meta, l’app potrebbe ritrovarsi costretta a scegliere tra continuare a proteggere il long form o cedere al fascino stuzzicante del marketing. Per rovesciare il piatto, la moneta dovrà fare i conti con l’autenticità. Ma sappiamo tutti che è un peso difficile da rimpiazzare.