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Quando Raf Simons disegnava per Jil Sander

Dal color block alla Techno Couture

Quando Raf Simons disegnava per Jil Sander Dal color block alla Techno Couture
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Alla domanda “su quale brand vorresti mettere le mani”, Raf Simons non ha mai tentennato: «Jil Sander o Helmut Lang». Del primo è diventato direttore creativo nel 2005, un anno prima che il brand tedesco fosse preso dalla società di private equity Change Capital Partners, dopo la turbolenta parentesi di Prada iniziata nel 1999. La nomina di Raf Simons arrivò in un momento cruciale per il brand, fondato nel 1968: Jil Sander era già fuori dalla società e non deteneva più alcun ruolo nella direzione creativa, la scissione con il gruppo Prada era definitiva. Simons, che al tempo aveva un diploma di laurea in design industriale, un’esperienza come direttore del dipartimento Moda dell’Università delle Arti Applicate di Vienna e una come creative director di un brand di culto che porta il suo stesso nome, in quanto instancabile indagatore del menswear improvvisamente si ritrovò catapultato tra i cartamodelli femminili di Jil Sander. «Mi rapportavo soltanto a Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester, Dirk Van Saene, Dries Van Noten e Martin Margiela, che facevano il loro lavoro in modo indipendente» raccontava qualche anno fa in un’ intervista rilasciata a Vogue. «Ora ho a che fare con due marchi, il mio che è molto piccolo e Jil, che è una grossa realtà corporate. Comprendo le differenze e ogni giorno mi chiedo quale delle due sia più in linea con me. Anche perché mi piacciono molto entrambe».

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Raf Simons è stato il direttore creativo di Jil Sander per sette anni, pur non avendo mai lavorato sul womenswear - «So cosa vuol dire andare da qualche parte dove non sei stato, e un'intera arena è lì con leoni che aspettano che arrivi la carne. Conosco esattamente la sensazione che ho provato quando sono dovuto andare da Jil Sander senza aver mai fatto il womenswear. È una sfida. Ma è fantastico» si legge in una conversazione del designer con Kanye West su Interview Magazine. Una sfida che, volendone tracciare una retrospettiva, è stata uno degli esperimenti più interessanti degli anni 2000 inoltrati: se il manifesto creativo di Jil Sander sopraggiungeva come un antidoto strutturalista in risposta agli eccessi estetici degli anni 80, il lavoro di Simons può essere letto come la rielaborazione prometeica di forme, volumi e colori indifferente alla dominante sensuale codificata nel corso degli anni 2000. Relegato fin dai suoi primi passi nel campo del cerebralismo e dell’uniforme, Simons ha dimostrato di essere un creativo in grado di sapere padroneggiare sia il grunge che il color block quanto, contro ogni banale aspettativa, i sofismi tecnici e narrativi della couture.

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Alla sua prima collezione da donna in assoluto, la FW06, Simons riprende pedissequamente i codici puristi e minimal del brand tedesco e li traduce in un esercizio di stile che non divide la critica. È la sua seconda collezione, la SS07, a lasciarci intravedere l’apporto del designer belga in casa Sander: una camicia giallo acido con una gonna corta in raso di duchesse blu scuro, un tailleur composto da pantalone nero a gamba attillata abbinato ad una giacca corta, con chiusura alta a un bottone, sotto cui si intravede il collo di una camicia color smeraldo apportano una nuova forma di energia al DNA di Jil Sander. Energia che, con la FW07, arriva ad un pieno riconoscimento da parte della critica: «Martedì uno stilista belga poco conosciuto di nome Raf Simons ha attirato l'attenzione di tutto il mondo della moda. La collezione di Simons per Jil Sander, la terza da quando è diventato direttore creativo 18 mesi fa, è stata perfetta. Scommetto che farà sembrare tutto il resto un po' artificioso, un po' goffo, un po' sciocco» scriveva nel 2007 Cathy Horyn sul New York Times . «Non che tutti vorranno un mantello sottilissimo in lana viola sopra a un paio di pantaloni neri slim o un abito di lana semplice in un profondo blu reale con una sottile piega arcuata sul davanti, ma è molto probabile che, presto, il signor Simons cambierà la vostra percezione». Secondo la critica americana, Simons riuscì a elevare il minimalismo di Jil Sander portandolo ad un livello tecnico superiore, con una lungimiranza tale da evocare Helmut Lang. «Puoi vederlo nel taglio preciso delle mantelle, che hanno la tenuta di una giacca o nell'uso inaspettato delle pinces per dare definizione ai cappotti di lana» conclude Horyn.

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Con la collezione SS09 arriva il cambio di scena: Simons si concede il lusso di dire la sua sull’archivio del brand tedesco, facendo sì che frange in pieno stile anni ‘20 e silhouette grafiche monocolore diventassero la voce narrante di un autore con un punto di vista costantemente puntuale sulle forme e le cose. «Jil Sander deve essere sempre un brand puro e sono consapevole di dover rendere minimal ogni reference, ma voglio anche mostrare la mia libertà di lasciarmi ispirare dal momento» spiegava apertamente il designer. Se da una parte la narrativa di Jil Sander ha sempre avuto a che fare con il concetto del “nuovo”, la collezione SS11 è invece assimilabile a una digressione “couture” che ha condotto il minimalismo ad uno stadio evolutivo, forse inatteso: una tee basica su una gonna rampicante arancione, una giacca cargo verde con una canotta rosa e pantaloni palazzo gialli o, ancora, un giubbotto viola sopra a un abito arancione fluo e abiti da cocktail alleggeriti dalle righe sotto una colonna sonora che passava da Bernard Herrmann per Psycho a Busta Rhymes.

«È l’unico a proporre nuove forme» commentava Emmanuelle Alt, direttrice di Vogue Francia. Forme che, con la collezione SS12 - l’ultima della sua “trilogia couture” - arrivano a toccare una tale padronanza dell’architettura dell’abito da superare il concetto stesso di purezza. Se le reference alle ceramiche di Picasso, l’icona del modernismo secondo Simons, costituivano un forma di tributo verso l’eredità più elitaria di Jil Sander, con la sua ultima collezione la direzione diventa chiara: su una passerella decorata da cubi di fiori in plexiglass disegnati dal fioraio Mark Colle, le modelle si stringevano al petto cappotti color cipria come custodi di una femminilità intimamente disarmante. «All'epoca ero completamente attratto dalla storia di Christian Dior» ricorda Simons dei suoi ultimi anni da Jil Sander. Questo, però, è un capitolo a parte.