Hedi Slimane vola nel deserto con la FW24 di Celine
Sabbia, cowboy, sartoria inglese e psichedelia
21 Maggio 2024
Esiste un nodo tematico comune che lega insieme il deserto del Mojave, la psichedelia, i Mod degli anni ’60, la sartoria inglese, ed è la musica. Intorno alla musica andò costruendosi l’identità sartoriale dei Mod e dei loro completi attillatissimi; dalla musica stessa nacque il concetto di psichedelia che poi i rocker della scena di Los Angeles applicarono nella vita vera consumando acido lisergico durante i ritiri nel deserto. Tutti questi elementi dovevano circolare nella mente di Hedi Slimane quando ha concepito l’immaginario del nuovo video-show di Celine che vede una schiera di altissimi e filiformi giovani dall’aria maledetta marciare lungo la Route 66 in una serie di completi tagliati con la classica chirurgica precisione che negli ultimi anni abbiamo imparato ad apprezzare. Se il video possiede una messinscena grandiosa (gli elicotteri nel deserto e la flottiglia di Cadillac nere ricordano immediatamente l’iconico video di Monsoon dei Tokio Hotel) la collezione è di una severità assoluta: regna ovunque il nero, interrotto da lampi di camicie bianche, un singolo completo grigio in Prince of Wales e, infine, look di paillettes, cristalli e un cappotto del tutto scintillante che sembra più tagliato nella cotta di maglia che nel regolare tessuto.
L’unico a non indossare gli abiti di Celine nel video è Brayden Liberio, che è un giovane cowboy professionista ripreso (e si presume anche fotografato) da Slimane nell’ambito di un progetto fotografico iniziato nel 2013 di nome California Teen Cowboy che potrebbe essere o meno collegato al nono numero di Hero Magazine, intitolato Suburban Heat, uscito proprio nel 2013 e con una copertina fotografata da Slimane che ritrae il primo piano di un giovane con un cappello da cowboy. E se un’incorporazione del tema western nella collezione c’è effettivamente stata (le show notes non chiariscono questo punto) non si tratta della smaccata sterzata in territorio country fatta da Pharrell ma da un’operazione più sottile che, nel bel mezzo dello show, alla vista di certe mantelle o di certi cappelli dalla tesa larga, con cravatta a fiocco abbinata e gilet ricamati a mano, non può che far pensare ai personaggi di Deadwood o Tombstone ma anche, in una certa misura, alla silhouette di Cillian Murphy in Oppenheimer, anche lui magrissimo e con enormi cappelli a tesa larga, ma vestito con enormi e cascanti completi anni ’40 che sono un po’ l’opposto della fasciante e matematicamente esatta sartoria di Slimane che, nel riferirsi all’Anglomania del 19esimo secolo, non poteva che intendere gli abiti di Beau Brummel, il dandy inglese che cambiò la maniera in cui gli uomini vestivano creando alcuni dei “codici” che informano la sartoria ancora ora specialmente per quanto riguarda colori, layering e silhouette.
Proprio la rivoluzione sartoriale creata da Brummel fu l’enfasi totale sul taglio a discapito di colori e decorazioni – una filosofia simile a quella seguita da Slimane per la sua castigatissima collezione e segnalata con la presenza di blazer privi di baveri e denominati frock coats, una citazione alle redingote indossate da Brummel. Ultima curiosità sulla collezione è il titolo e la musica con cui è stata presentata: piuttosto che remixare una traccia esistente come fatto in passato con i brani di giovani artisti emergenti, questa volta Slimane ha scelto Hector Berlioz e la sua Symphonie Fantastique, che racconta in musica le visioni di un artista che si avvelena con l’oppio per sfuggire al dolore di un amore non corrisposto. Ora la sinfonia è divisa in cinque movimenti attraverso cui continua a ripetersi un certo tema musicale che Berlioz definiva «idée fixe» ovvero una rappresentazione dell’ossessione. E la sartoria è un’ossessione lunga una vita per Slimane che una volta disse a Le Figaro: «Ho trovato il mio stile più di 20 anni fa, a meno che non sia il contrario. Passa attraverso una linea, un tratto, un aspetto, una silhouette che da allora perseguo ossessivamente e che definisce chi sono. Mi appartiene e, in cambio, sono costretto a farlo».