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Burberry al bivio

Perché il revival del brand stenta a decollare

Burberry al bivio Perché il revival del brand stenta a decollare

Le cose non paiono andar bene per Burberry: nonostante gli sforzi, il revival capitanato da Daniel Lee stenta a toccare il cuore dei consumatori che, non a caso, hanno comprato trench e sciarpe quest’anno ignorando però le collezioni di ready-to-wear. Stando alle dichiarazioni, iI brand ha registrato un utile ante imposte di 383 milioni di sterline per l'anno fiscale terminato il 30 marzo, un calo del 40% rispetto ai 634 milioni di sterline dei 12 mesi precedenti che si è svolto in mezzo a un generale rallentamento della domanda di beni di lusso in Asia e America. In una reazione a catena, il prezzo delle azioni della società è sceso del 3% nelle prime contrattazioni, prima di riprendersi in parte fino al 1,5% restando comunque del 53% più basso rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Le vendite totali per l'anno sono diminuite del 1%, ma il secondo semestre del 2023 ha le ha viste calare dell'8% su base annua e i gestori del brand hanno detto di attendersi un primo semestre del 2024 impegnativo, con qualche speranza di ripresa a fine estate. In un avviso sui profitti a gennaio, che prevedeva profitti operativi tra 410 e 460 milioni di sterline, il brand aveva attribuito il calo al costo della vita e ai tassi di interesse più alti - ma forse l’odierna parabola di Burberry ci insegna cosa succede quando la percezione che il brand ha di se stesso non corrisponde all’immagine che ne ha il pubblico. Si rischia molto a essere antiquati, ma forse esiste un rischio maggiore nell’aggiornarsi troppo.
 

Parlando con The Guardian, Yanmei Tang, analista presso Third Bridge, ha dichiarato che «Burberry sta lottando per definire chiaramente ed elevare l'identità del suo marchio, risultando in messaggi confusi e scarso crescita delle vendite. C'è troppa dipendenza da una nuova direzione creativa piuttosto che da cambiamenti operativi». Insomma, anche se l’output più visibile del brand è il lavoro di Daniel Lee non dipende tutto da quello, ma anche dai meccanismi di un business che risulta sì solido per il suo lungo heritage ma che deve aggiornarsi anche sul piano dell’operatività. La sensazione, però, è che al netto dell’operatività, questo drastico calo sia dovuto a un’eccessiva volontà di aggiustare un’estetica che, fino all’addio di Christopher Bailey, andava forse rinfrescata ma non radicalmente sovvertita - soprattutto in un periodo in cui il mondo vintage, in cui la presenza di Burberry è così forte, sta avendo una risorgenza. Come dice un famoso meme online, insomma, reject modernity, embrace tradition. Forse, quando il brand ha assunto Lee si attendeva un “effetto Bottega” senza però aver presente che, quando Lee è arrivato da Bottega Veneta, il brand era sostanzialmente una tela bianca dal punto di vista estetico - cosa che ha consentito a Lee di rivoluzionarne l’estetica rimanendo concentrato sulla pelle. Per Burberry però le cose sono diverse: la sua immagine è tradizionale, classica; e un approccio più folk (pensiamo a designer inglesi come Luke Edward Hall o S.S. Daley) era forse quanto pubblico e stampa si attendeva. Ma questa non è la prima volta che il brand inglese traballa.

   Quando sono iniziati i problemi per Burberry?

Nel luglio 2020, in piena pandemia, Burberry fece notizia annunciando un massiccio piano di ristrutturazione. Questa mossa fu una risposta a un drastico calo del 75% delle vendite nella regione EMEIA (Europa, Medio Oriente e Africa) nel mezzo della pandemia a cui Marco Gobetti reagì tagliando personale e chiudendo uffici. Quando un'azienda attribuisce le sue scarse performance unicamente a fattori esterni come sfide di mercato e cambiamenti nei comportamenti dei consumatori, spesso maschera problemi interni, di solito gestionali, amministrativi e di brand equity e percezione. Secondo Jing Daily, questo momento di difficoltà fu dovuto a Christopher Bailey, diventato CEO del brand dopo esserne stato direttore creativo dal 2001, prendendo la vecchia posizione di Angela Ahrendts, di solito considerata la responsabile del revival del brand nei primi anni 2010 prima di passare ad Apple nel 2014. Nonostante l'ottimismo iniziale degli investitori nel 2018, con l’uscita di Bailey e l’ingresso di Ricardo Tisci come nuovo direttore creativo, il brand ha continuato a incontrare ostacoli. In mezzo a una tenure poco convincente per la critica (ed evidentemente anche per le vendite) Burberry ha fatto ricorso a sconti pesanti durante la pandemia, una mossa che per molti ha avuto forti ripercussioni sul valore percepito del brand e la cui conseguenza è la maggiore consistenza delle sue perdite rispetto agli altri brand alla fine dei lockdown. 

Ma cos’è che non funziona?

@geminiswillunderstand What happened to Burberry and can the brand save itself? let's discuss #fashionanalysis #fashioncommentary original sound - Geminis KnowItBetter

Secondo Jing Daily, lo storytelling del brand ha smesso di funzionare perché troppo basato sulla storia e non abbastanza sui valori. E pur rispettando l’analisi offerta dalla pubblicazione, forse occorre dissentire. La sensazione principale è che gli amministratori di Burberry non abbiano la stessa idea del brand che il pubblico sembra condividere: l’errore è stato prendere il brand e provare a fargli seguire un modello identico a quello di tutti gli altri, con il lancio nello streetwear, la presentazione di una sneaker, di un monogramma e via dicendo. Ma il fascino di Burberry non è mai stato la sua contemporaneità ma la sua classicità; l’errore è stato nel tentativo di modernizzare il brand in una congiuntura storica (circa il 2018) in cui lo stesso mondo streetwear stava iniziando a sentire il fascino dell’estetica retrò. Per riposizionarsi, Burberry non doveva replicare il modello del Givenchy di Tisci o i design iper-moderni di Phoebe Philo; ma creare un’estetica calda, confortevole e familiare sulla scorta di Aimè Leon Dore. Anche chi non ama il brand di Teddy Santis, deve ammettere che non solo il suo immaginario ha precorso l’esplosione dell’estetica vintage e retrò, ma anche che lo styling dei lookbook, così pieno di sciarpe, cappelli, maglioni e abiti familiari ma abbinati con una sensibilità moderna, avrebbe espresso meglio il fascino che Burberry possiede ancora.

Persino Internet ha scherzato sulla cosa qualche anno fa, quando Casual Connoisseur creò una finta campagna che divenne virale in cui il template anni ’80 delle campagne del brand “The Burberry Look” veniva usato con una foto tratta dal film del 2009 The Firm in cui un hooligan brandisce una mazza da baseball indossando uno dei trench del brand. Fu proprio quell’aria quasi vintage, quell’immagine di un ragazzo di periferia che appariva immediatamente più signorile indossando un vecchio trench a colpire l’immaginazione del pubblico di Internet. Era proprio quell’estetica a metà tra il cottagecore e il preppy oxfordiano, quell’immaginario da campagna inglese a dare spessore al brand: in retrospettiva, se Burberry fosse saltato su quel treno in anticipo invece che su quello dello streetwear e del quiet luxury in ritardo, oggi forse le cose sarebbero diverse. Più che moderno, Burberry dovrebbe essere un brand rassicurante. Tanto più che, al momento attuale, il mercato è già pieno di brand di lusso “sovrannumerari” che camminano nel solco dei grandi trendsetter – non serve che un altro brand così iconico come Burberry decida di reinventarsi, ma che al contrario diventi ancora più fortemente se stesso.