30 anni di Supreme
Come l’anti-fashion è divenuto fashion
27 Aprile 2024
Giovedì 25 aprile c’è stato uno dei drop di Supreme più interessanti degli ultimi anni. Per festeggiare i 30 anni di storia, il brand newyorkese ha rilasciato la 30th Anniversary First Tee, una semplice graphic tee contraddistinta da una stampa che si rifà alla prima t-shirt lanciata nel 1994. La 30th Anniversary First Tee non è stata la sola protagonista del drop: l’attesissima maglietta ha infatti condiviso il suo momento di gloria con la trilogia 30 Years T-Shirt - una raccolta letteraria di tutte le t-shirt prodotte da Supreme dal 1994 al 2024. Si è trattato di un drop simbolico, che ha trovato tempo e modo di mettere d’accordo tutti, ma che soprattutto ha saputo come sospendere le insistenti polemiche riguardo le ultime decisioni del brand e di VF Corporation, proprietaria di Supreme dal 2020.
In seguito alle dimissioni di Tremaine Emory - il primo direttore creativo "esterno" della storia trentennale di Supreme, che però ha lasciato il brand lanciando l’accusa di razzismo sistemico - gli interrogativi che si sono aperti riguardo il futuro del marchio sono stati molti. La figura di Emory è stata certamente molto divisiva e ha consolidato due fazioni ben lontane tra loro: una che appoggiava l’operato dello statunitense e sottolineava come il brand avesse finalmente ritrovato un'anima smarrita da tempo, l'altra che invece condannava la scelta del marchio acquisito da VF Corporation di aver lasciato la direzione creativa nelle mani del fondatore di Denim Tears. Ma il clamore creatosi attorno agli ultimi drop (su tutti la collaborazione con MM6 Maison Margiela) ci fa intendere che la sorte di Supreme sia meno legata a un direttore creativo e più a una riconquista dell’entusiasmo del pubblico, cercando, ovviamente, un compromesso con un’audience che è cambiata tantissimo durante gli anni.
Come nasce il fenomeno Supreme
È il 1994 quando James Jebbia - imprenditore che aprì il primo store di Stüssy a New York, insieme a Shawn Stussy - inaugura il primo negozio Supreme in Lafayette Street, New York. Oltre a poter contare su una solida crew di skateboarder che frequentava assiduamente lo store, o che semplicemente passava le sue giornate nelle vie attorno (il celebre regista Harmony Korine descriveva il negozio come un mero «hangout spot»), Supreme non aveva nulla di nuovo da offrire sul mercato. I primi prodotti che nacquero dalla mente di Jebbia erano davvero essenziali: una t-shirt box logo e una graphic tee raffigurante il volto di Robert De Niro nei panni di Travis Pickle in Taxi Driver. Il vero talento di Supreme era fare leva sulla community del mondo dello skateboarding - più o meno la stessa raccontata in Kids di Larry Clark (scritto dallo stesso Harmony Korine) e nel più recente Mid 90’s di Jonah Hill per intenderci - ma anche su quello che poi risultò essere un business model all’avanguardia lanciando quel concetto di "scarcity" che sarebbe poi diventato colonna portante dell’hype culture. Per James Jebbia, vendere pochi item in scarse quantità era una strategia innovativa, che gli permetteva di rimanere client-oriented. Insomma, limitare le quantità è stato il modus operandi di Supreme sin dal primo giorno, uno dei motivi principali per cui il marchio vanta ancora oggi molti affezionati. La strategia nacque per questione di necessità in un periodo in cui l’unico flagship store era praticamente sempre vuoto. Jebbia puntò sul concetto di scarcity poiché non disponeva di risorse sufficienti a garantire un assortimento costante di merce in vendita, dunque, l’unica soluzione era produrre meno. La scappatoia di Jebbia fu geniale: rifornire lo stock settimanalmente abituò i clienti a recarsi in store il giorno del drop, creando una sorta di ritualità che ancora oggi contraddistingue Supreme nell’immaginario collettivo.
L’impatto di Supreme sul mondo della moda
Negli anni, diverse figure prominenti dell’industria della moda hanno espresso il loro riconoscimento nei confronti dell’influenza di Supreme sul settore. Una delle citazioni più celebri è stata espressa da Brendon Babenzien, fondatore di Noah ed ex designer di Supreme: «Supreme ha creato il mondo in cui tutti i brand di moda vivono oggi». Ciononostante, nel percorso che lo ha portato a diventare un vero e proprio caso studio, Supreme ha scelto di adottare un approccio al marketing "anti-mercato". Fino al 2006, il brand non disponeva neanche di un e-commerce, rifiutava di comparire sui billboard delle grandi capitali della moda e faceva dell’irriverenza uno dei suoi tratti distintivi. Negli anni ha realizzato rip-off con il logo di Coca Cola (1997), il check di Burberry (1997) e il monogram di Louis Vuitton (2000) - rilasciando persino una maglietta con il copy «FUCK NIKE» (2001), unicamente friends & family - oltre a legarsi perennemente con i nomi dei più influenti artisti contemporanei, da Keith Haring a Damien Hirst, passando per Andrés Serrano e molti altri ancora. In concomitanza al dialogo con i più grandi artisti mondiali, Supreme si avvicinava ai piani nobili della moda grazie alle collaborazioni annuali con Comme des Garçons e Jean Paul Gaultier, inaugurando uno dei lassi temporali più simbolici tra tutti: quello che va dal 2012 al 2018, che include, ovviamente, la collab spartiacque con Louis Vuitton avvenuta nel contesto della Hypebeast Era - raccontata all’interno del volume 2 della trilogia 30 Years T-Shirt.
Insomma, come sostiene Angelo Baque (fondatore e designer di Awake New York) «non esisterà mai un brand alla pari di Supreme» - una frase che suona come croce e delizia per il marchio in costante missione per accontentare una fanbase davvero complicata. Non ci sono fondi di investimenti che tengano, né tantomeno speculazioni riguardo chi sarà il prossimo direttore creativo del brand: Supreme è immortale da ancor prima che James Jebbia alzasse la saracinesca dello store di Lafayette Street; nessun brand ha saputo narrare la contemporaneità tanto quanto Supreme e sarà difficile, oggi come in futuro, togliere il titolo di innovatore al brand.