Quando la moda è di carta
Tra cellulosa, advertising e stampe newspaper
29 Aprile 2024
Carta ed abiti, per più di un motivo, si sono trovati a fare da supporto alle esigenze della nostra specie: la prima per dare ordine e autorevolezza ai pensieri, i secondi per rivestire di significati la pelle. Entrambi raccolgono idee e ne comunicano l’impatto sotto forma di parole scritte o cucite, entrambi sono polifunzionali. La moda, che di suo assorbe tutto, ha finito con l’acquisire la cellulosa come materiale per la costruzione di abiti e, allo stesso tempo, ha fatto della carta una reference per restituirle dignità vestimentaria. Qual è, in altri termini, la relazione estetica tra moda e carta?
Breve storia del paper clothing
È una storia che affonda le sue radici nell’antica tradizione giapponese quella degli abiti fatti di carta. Se nel 910 d.C. i monaci buddisti inauguravano la tradizione di questa tipologia di indumenti, l’utilizzo della cellulosa raggiunge la massima espansione in Giappone nel periodo Edo (1603-1868): porte, finestre, corone, cappelli, tela cerata, stuoie per sedersi o dormire, borse, carta da parati in rilievo, illuminazione, impermeabili, ombrelli, cuscini, scatole per cancelleria, vassoi da portata, ciotole, zanzariere, piccoli piatti, contenitori per cibo e bevande, scatole, valigie e borse, sandali e persino mobili vengono trattati come materiale cartaceo. In Occidente, invece, la storia degli indumenti di carta incontra quella delle guerre, delle crisi economiche e dell’advertising: in età napoleonica i cappelli passano dall’intreccio di paglia a quello di carta e lino, mentre durante la Prima Guerra Mondiale è il mondo della corsetteria a cercare un’alternativa al tessuto rinforzato con stecche.
Sono gli anni ’50, invece, a registrare il boom degli articoli usa e getta che, appena un decennio dopo, dovranno essere riformulati secondo le regole della pubblicità: aziende come Scott Paper e Kimberly-Clark iniziano a sperimentare metodi non convenzionali per promuovere la loro merce da banco. Gli abiti di carta arrivano così come una trovata pubblicitaria per vendere articoli da cucina (in carta) usa e getta, correndandoli di un buono sconto e un vestito fatto dello stesso materiale - l’abito come una campagna pubblicitaria che unisce copywriting, art direction e branding. In realtà questi abiti non erano realizzati con la stessa carta dei prodotti di Scott Paper, ma erano fatti di cotone, rayon, poliestere e altre fibre sintetiche oltre alla cellulosa. Le prime attestazioni di abiti di carta prodotti per scopi non pubblicitari risalgono al 1966 e provengono dallo stabilimento Mars di Asheville, che ne rilascia diverse versioni. Una su tutte spicca per la versatilità: è bianca ed è corredata con un set di acquerelli con cui poterla personalizzare. Due di questi vestiti cartacei sono ora esposti al Brooklyn Museum e sono stati personalizzati da Andy Warhol in persona: su uno aleggia la scritta “fragile”, sull’altro il disegno di una banana all over. Radicata nell’immaginario estetico degli anni ’60, della moda degli abiti di carta rimane traccia nelle stampe che continuano ad alimentare la cultura pop e nel repertorio stilistico di qualche collezione di culto.
I newspaper dress e le stampe cartacee
Scovando nell’archivio della stampa newspaper, la ricerca restituisce che la prima persona ad indossarla sia stata Matilda Butters, seconda moglie del politico australiano James Stewart, nel 1886. L’estro creativo di Elsa Schiaparelli, che ha trasformato i ritagli di un articolo su di lei in bluse e accessori stampati, arriva dopo: siamo nel 1935. Poco più di 10 anni in avanti, nel 1946, Louis Réard annuncia il debutto del bikini coperto da una stampa di giornale. Arriviamo all’ironia sofisticata degli anni ’60 - è la modella Twiggy a restituire i colori dell’inchiostro su carta con un minidress con stampa newspaper datata al 1967. E poi, per una sorta di effetto trickle-down congenito alla moda, questa stampa finisce sulle passerelle di Moschino, Calvin Klein negli anni ’90 fino ad approdare al suo stato di leggenda con John Galliano. Prima con la collezione SS99 Couture di Dior, poi con la SS00 ispirata ai clochard di Parigi e infine con la collezione ready to wear FW 2000, Christian Dior Daily era il magazine cucito sul corpo della modelle con cui John Galliano modellava la sua visione creativa. Visione che, grazie a Sex and the City, sopraggiunge alla sua consacrazione pop: Sarah Jessica Parker, alias Carrie Bradshaw, indossa il newspaper dress nel 2009 nella seconda stagione della serie cult HBO, facendone un abito feticcio di massa.
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Se per Anna Piaggi la stampa newspaper costituiva un elemento chiave all’interno della sua narrativa dandy e della sua poetica del vintage, diverso è il caso di Lady Gaga che ha indossato un abito di carta Paco Rabanne in occasione degli MTV European Music Awards del 2011. Abiti che riproducevano i particolari della carta stropicciata a misura d’uomo, effettivamente, circolavano già da tempo: basta consultare i lavori di Martin Margiela o di Rei Kawakubo per rendersi conto di quanto sia stato impattante l’immaginario della cellulosa formato pagina. Eppure, chi è riuscito a inserire nuovamente la stampa newspaper all’interno della cultura pop e del dibattito pubblico, è proprio un allievo di Margiela: Demna.
Per la collezione SS18 di Balenciaga ha impresso su camicie e cardigan in coordinato la parola dell’anno 2017 secondo il dizionario Collins, “fake news”, riproponendola in una campagna stile paparazzi in cui la protagonista è la top model Stella Tennant. Nel 2021 è nel film Crudelia che il newspaper dress fa la sua ricomparsa sull’alter ego della protagonista Estella - reiterazione grafica e vestimentaria dei suoi capelli metà bianchi e metà neri. È poi Prada, nel 2022, a cercare nella carta un materiale di ricerca che facesse da corredo alla collezione SS23 sotto forma di un invito a mò di soprabito riadattato poi ad un set design sospeso tra pareti bianche, tende a quadretti e un pavimento sui toni del marrone interamente realizzato in carta. Mathieu Blazy, infine, rievoca il numero di un magazine femminista italiano stampandolo per intero su una tote bag della collezione SS24 di Bottega Veneta – lavoro artigianale ed editoriale. Lavoro che, indifferentemente dalla sua accezione, rimane - come la moda - un testo da consultare e rileggere senza, o quasi, interruzioni.