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The Vintage Box

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È esistito un tempo in cui "vintage" significava soltanto "vecchio". Ma già verso la fine del 2019 si erano avvisati i primi segni di un'ondata che oggi, nel 2023, avrebbe colpito l'industria della moda di schianto. E anche se la cultura del vintage è sempre esistita come una sorta di corrente sotterranea nella moda (in Giappone, ad esempio, si è originato il culto dell'estetica americana) una serie di circostanze storiche e sociali l'hanno fatta emergere alla luce del sole. Se un tempo solo pochi iniziati frequentavano mercati e negozi vintage, ora il passato è diventato un trend - ed è per questo che, insieme a Giulio Marchioni di Cocci, nss magazine ha lanciato quest'anno The Vintage Box, il primo podcast su Tik Tok che esplora, puntata dopo puntata, i principali pilastri della cultura del vintage e dell'archivio: dall'origine delle hoodie e dei jeans cimosati, al recente trend del fading fino alla differenza tra vintage e secondhand e molto altro. Dopo il successo che The Vintage Box ha avuto su TikTok, con più di 1,5 milioni di views, una media di 100.000 views a episodio e un tasso di engagement del 62%, la redazione di nss magazine ha voluto proporlo su una piattaforma ancora più ampia, Spreaker, rendendolo così disponibile anche su Spotify e Apple Podcast.

Ma perché il 2023 è stato l'anno del vintage? Dovremmo dire, forse, che è stato l'anno in cui il vintage è diventato mainstream. Se l'importanza della moda per la Gen Z è cresciuta enormemente negli ultimi anni, e specialmente come veicolo identitario, l'aumento dei prezzi del lusso, la crescente commercialità delle collezioni e dei brand e il dilagare di abiti fast fashion di cattiva qualità, ha portato fette sempre più consistenti di pubblico a rivolgersi al mercato della moda secondhand. Con l'aiuto dei nuovi marketplace digitali come Vinted o Vestiaire Collective, e della ricerca di un consumo più sostenibile, è nata una nuova maniera di esperire e consumare la moda: secondo ThredUp, ad esempio, il mercato del secondhand raggiungerà un valore complessivo di 350 miliardi di dollari entro il 2027 mentre un altro studio di Forbes suggerisce che potrebbe diventare due volte più grande del mercato fast fashion entro la fine del decennio. Gen Z e Millennial guidano la strada: sempre secondo ThredUp, il 30% della Gen Z compra nei mercati secondhand per potersi permettere beni di lusso e due item su cinque del guardaroba di questa fascia d'età è stato precedentemente in possesso di qualcun altro.

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Ma lo shift è culturale, secondo il report, infatti, il 64% degli intervistati della Gen Z cerca un articolo di seconda mano prima di comprarlo nuovo. Tanto che nel suo Impact Report, Vestiaire Collective ha definito il cosiddetto Effetto Upscale: con la compravendita di beni di lusso, i consumatori sono incoraggiati ad acquistare prodotti di qualità superiore, più longevi ma anche più rivendibili, che mette in pratica il principio cardine della moda sostenibile less but better. Se questi numeri non vanno necessariamente a sovrapporsi con quelli delle vendite della moda, che infatti negli ultimi tempi ha dedicato i propri sforzi ad attrarre e trattenere i clienti VIP con immense boutique, investimenti sul customer service e strategie retail ottimizzate ad hoc. Due mercati, insomma, e due pubblici: con la differenza però che uno dei due, e quello che era partito in iniziale svantaggio, si espande a una velocità esponenziale. E dunque perché parlare solo di anni? Forse, dal 2020 in avanti, potremmo parlare del decennio del vintage.