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Nello scontro tra Meloni e Ferragni, è l’Italia che perde

Tra un pandoro e un volo di stracci, il quadro è davvero desolante

Nello scontro tra Meloni e Ferragni, è l’Italia che perde Tra un pandoro e un volo di stracci, il quadro è davvero desolante

Nel mondo della televisione, il termine «saltare lo squalo» si riferisce al momento in cui una certa narrazione seriale giunge a un punto di assurdità tale da testimoniare non solo l’esaurimento di idee ma anche un crollo di qualità della narrativa. E in una società in cui l’intrattenimento, la cronaca e il marketing si muovono ormai come una singola entità, l’arco narrativo del pandoro Balocco di Chiara Ferragni, che ha visto anche il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, intervenire in pubblico e Fedez risponderle, ha segnato un nuovo punto basso per il dibattito pubblico italiano. «Un’operazione commerciale come tante», ha detto Ferragni nel suo ormai virale video di scuse e riferendosi alla beneficenza, «ne faccio ogni giorno». E adesso un nuovo articolo di Selvaggia Lucarelli fa intendere che un simile caso potrebbe essersi ripetuto con le Uova di Pasqua vendute da Dolci Preziosi nel 2021 e 2022. «Aggiungo che dopo alcune telefonate per approfondire il tema uova avvenute ieri, i vecchi post di promozione delle uova pasquali sulla pagina Instagram di Ferragni sono velocemente spariti», ha scritto Lucarelli. Insomma, il quadro che si configura non è dei migliori. Se infatti la responsabilità legale sarà discussa in sedi più appropriate, l’intera debacle dimostra lo stato aberrante in cui versa la cultura di questo paese. Uno squallore triangolare: un pubblico manipolabile che compra il pandoro di Ferragni cedendo al branding e non per fare beneficenza; un’influencer che cede la sua immagine per un cachet più sostanzioso della somma versata in beneficenza; un Primo Ministro che, populisticamente, commenta la vicenda per suscitare la facile indignazione del pubblico manipolabile di cui sopra. Nessuna delle tre parti coinvolte ha inteso ciò che diceva, detto ciò che intendeva o agito secondo un autentico valore o principio di etica riconosciuto – in questa debacle, e nella maniera in cui è diventata subito un meme, c’è il riflesso di un paese dall’encefalogramma piatto.

@ilmessaggero.it Giorgia Meloni non la cita, ma è chiaro che l'affondo è per Chiara Ferragni e la vicenda del panettone 'griffato' con il suo logo. #meloni #giorgiameloni #ferragni #chiaraferragni #pandoro #pandoroferragni suono originale - Il Messaggero

Soffermandoci per un attimo su Ferragni, la rilevanza e l’importanza di cui questa influencer è ricoperta è esagerata, assurda, immotivata. Se la carriera dell’imprenditrice digitale è un gigantesco capolavoro di self-branding e self-marketing, in cui una persona sacrifica ogni angolo della propria vita privata all’attenzione di pubblico che la ama, o ama odiarla, la sua figura è assurta a un nuovo livello di fama, diventando un personaggio nazional-popolare scolpito nel fondo della coscienza collettiva. Ma Ferragni è andata oltre, molto oltre l’influencing. Coi suoi social, si rivolge alla nazione intera, non ha faide con altri influencer ma con politici ed enti come l’Antitrust o il Codacons, lei e il marito sono definiti dai giornali una “royal couple”, ogni sua azione conquista le testate dei quotidiani, si interfaccia con le alte cariche di Stato, offre e difende le proprie visioni politiche – è una figura pubblica a tutti gli effetti. Ma l’unica ragione dell’importanza che il pubblico le attribuisce è la sua visibilità, e in un circolo vizioso la visibilità si traduce in importanza percepita. Questa stessa importanza percepita, poi, testimonia come quella di Ferragni sia l’unica offerta che risponda alla domanda che ha il pubblico per una figura culturale di riferimento: insomma, se Ferragni è l’esempio peggiore non ne possediamo di migliori. La sua assurda celebrità esiste perché riempie il vuoto del cuore di un paese che non ha più eroi, saggi o santi.

La cultura ha bisogno di un volto, una figura intorno a cui aggregarsi e il capitalismo colorato di rosa è semplicemente quello che passa il convento. La società, naturalmente, si adegua a questa glorificazione del consumismo che va oltre il denaro e diventa personale: sottoposta a una continua attenzione pubblica, il pubblico consuma alla stessa maniera i prodotti brandizzati da Ferragni e la vita personale di Ferragni stessa. Ma ogni tanto il pubblico sembra subire, più che alimentare, questa fama. Tanto che ogni manifestazione di Ferragni viene accolta con rancore, i suoi scivoloni pubblici seguiti con malcelato sadismo. Pensate alla sua partecipazione a Sanremo: faceva quasi pena la maniera in cui Ferragni non potesse aprire bocca o muovere un passo senza essere bombardata di irrisione o insofferenza sui social – lei era su quel palco proprio in ragione della sua fama, ma una fama tossica che ne ha fatto il bersaglio di un paese intero. Non si può esser belli, famosi ricchi e basta, bisogna essere anche buoni per farsi perdonare il proprio privilegio. In un’epoca in cui un’autenticità brutale e senza filtri sta lentamente tornando a essere apprezzata, l’errore di Ferragni è stato quello di volersi dipingere come un faro di cultura progressista e carità – la tossicità di cui è vittima deriva proprio dalla sua ambizione e emanciparsi da un ruolo, quello della superficiale influencer, che di fatto non può abbandonare. Si fosse rassegnata alla frivolezza, voi non stareste leggendo questo articolo e lei si starebbe godendo il sole su una spiaggia tropicale.

In questo senso le critiche di Meloni non sono immotivate in sè: è giusto indicare come modello positivo chi produce e non chi promuove, il cammino arduo e stretto invece della facile e panoramica scorciatoia. Ma il pubblico cerca quella scorciatoia perché si trova in un paese dove il cammino più che arduo e stretto è impraticabile, dove per entrare nell’ascensore sociale bisogna far carte false, diventare famosi come e quando si può: col solo lavoro non si ammassano quattrini. Questo sarebbe un problema da discutere: se siamo ossessionati dalla storia di successo di Ferragni è perchè si tratta di una favola che ci dice che essere un’influencer è la maniera migliore di trascinarsi fuori dalla soglia della povertà dato che studio e duro lavoro, chiaramente, non bastano. C’è inoltre qualcosa che non va nella scelta di discutere della figura di Ferragni da un podio politico: in primo luogo perché così se ne conferma l’importanza, la dominazione assoluta esercitata sulla coscienza collettiva; in secondo luogo perché i problemi della politica sono altri, e sicuramente non riguardano le iniziative private di un dato imprenditore, ancor più un’influencer; in terzo luogo per una questione di dignità del discorso, perché quel commento così studiato per solleticare i bassi istinti dell’elettorato, la facile rabbia che Ferragni suscita nelle masse impoverite che subiscono la sua fama è populismo puro, demagogia all’ultimo stadio. Tanto più che Ferragni non è una figura politica, mentre lo sono altre che a oggi sono indagate per falso in bilancio, peculato, sottrazione fraudulenta, truffa e si trovano ancora nei palazzi del potere. L’unica cosa che esce da questa intera vicenda è l’impressionante, profonda viltà di tutto e tutti. Ancora più impressionante è che fra sei mesi ci saremo già scordati di tutto. Un boccone amaro, insomma – quasi come un pandoro dalla confezione colorata di rosa shocking.