Rendiamo subliminale il marketing subliminale
Elogio all’arte perduta della sottigliezza
10 Novembre 2023
Dopo l’uscita della Resort 2024 di Bottega Veneta, un anonimo utente di Twitter ha notato come molti dei pezzi-chiave della collezione fossero già apparsi indosso ad A$AP Rocky nelle scorse settimane. La frase è sicuramente un’esagerazione, ma è impossibile non notare come un look indossato da Rocky a inizio ottobre è la precisa replica (borsa inclusa) del 19esimo look della collezione; lo stesso si dica di un altro outfit in cui il rapper è stato paparazzato che era il look 53 della collezione e poi il più recente, questa volta mentre Rocky correva, che era il look 46 meno le scarpe e la overshirt in pelle. Qualcosa di simile è accaduto l’anno scorso con Kendall Jenner, fotografata con un mazzo di fiori e un no-pants look prelevato della sfilata e dato a lei. Il fenomeno è raramente sistematico, ma esiste, specialmente per gli über-influencer di “prima fascia”. Né la cosa riguarda solo Bottega Veneta: lo scorso giugno, per degli scatti fatti a casa propria, Hailey Bieber indossava per intero il secondo look della FW23 di Saint Laurent; da tempo poi, Lewis Hamilton viene vestito dal suo stylist Eric McNeal in numerosi full look ricalcati senza variazione dalle sfilate, passando da Louis Vuitton a Umit Benan, da Zegna a Ferragamo senza dimenticare Bottega Veneta, sempre popolarissimo. Ma qual è il senso di uno styling pre-fabbricato? E si può chiamare styling?
In generale in tutta l’industria, o comunque per i brand più importanti, regna la policy del full look quando si parla di progetti editoriali, ovvero di servizi fotografici che non sono campagne autoprodotte dal brand. «We have a full look policy and ask for the looks to be shot in full and not mixed with another brand», è una delle richieste più comuni. La cosa ha i suoi pro e i suoi contro. Un tempo lo styling visto nelle riviste di moda più prestigiose faceva scuola, forniva idee e, nei casi migliori, suggeriva nuove interpretazioni alternative a quelle viste in sfilata – la stessa abitudine a combinare pezzi diversi, però, creava dappertutto strane contraddizioni come l’abbinamento di brand di fasce diverse (immaginate se Prada e Guess dovessero essere presenti sullo stesso look, sarebbe impensabile). Nel campo dello stile personale, l’impressione è che molte star non si servissero di stylist con la stessa frequenza di oggi: quando i paparazzi coglievano le celebrità in disarmo, il loro look era invariabilmente “normale”. Il che però evidenziava e costruiva meglio l’iconicità di un brand: dalle borse di Gucci e Dior indossate e rese celebri da Lady Diana e Jackie O. e che ora portano il loro nome, agli outfit di Yohji Yamamoto indossati negli anni ’90 da personalità come Takeshi Kitano e Carolyn Bessette-Kennedy; passando per i mocassini Gucci di Francis Ford Coppola e i maglioni Stone Island di Steven Spielberg. E se oggi lo stile personale rimane comunque vivo, dato che le star tendono a vestirsi mescolando brand diversi nella stragrande maggioranza, è indubbio che il genere di promozione “subliminale” che potremmo definire “out & about” o “coffee run” degli über-influencer è un vero e proprio filone del celebrity marketing.
Awww that celebrity has such good tastw in clothes....no ur mistaken, hmtheir stylist has good taste in clothes. They just wear it well
— Jay Bland (@jaybland05) February 20, 2014
Il fatto, però, è che basta leggere i commenti sotto le diverse foto (solitamente pubblicate su Just Jared) per rendersi conto che il pubblico ha ormai un occhio abbastanza fino per distinguere il look naturale da quello artificiale, per così dire. Una settimana fa, Kendall Jenner è stata paparazzata durante una “coffee run” a Los Angeles con indosso un pesante trench di pelle della Resort 2024 di Bottega Veneta e un utente ha notato che in quei giorni si registravano 30 gradi in città e un altro ha scritto che queste «uscite informali per un caffè sono basicamente pubblicità». La cosa divertente, però, è che tutti questi full look ricopiati dalle sfilate più recenti non contengono merce disponibile in negozio ma solo le collezioni appena presentate: insomma, non avrebbero potuto avere quel full look nemmeno comprandolo a meno che il brand stesso non gliel'abbia dato, perchè semplicemente nemmeno è entrato in produzione. L'artificiosità di questi scatti è fin troppo palese.
@kardashvideoo she is totally lost #kimkardashian #kimkardashiandolcegabbana #dolcegabbana #danilevi #thekardashians #styliste #kardashians #kardashianshulu #fypシ #foryou #drama #kardashiandrama son original - KardashVideo
Ora, non c’è nulla di male in questo marketing “subliminale” che è sempre esistito sotto forma di endorsement, ma in un’epoca in cui il pubblico è così esposto al marketing dal vederne con trasparenza i trucchi sarebbe forse più interessante dissimulare meglio i fini promozionali di certi seeding o di certe apparizioni pubbliche il cui reale fine viene immediatamente riconosciuto. Il marketing, dopo tutto, dovrebbe stare un passo avanti al pubblico e non uno indietro. E se gran parte della critica (una minoranza, certo, ma di esperti del settore) lamenta la scarsa capacità dei brand di assumersi dei rischi creativi, il motivo è anche questo approccio un po’ ovvio e grossolano con cui il marketing prova a creare in vitro momenti virali e icone della moda private del proprio arbitrio. Senza parlare di come la pratica limita e ridimensiona l’importanza degli stylist che oggi sono i veri responsabili degli outfit di celebrity che in pratica non devono nemmeno sforzarsi in prima persona – nella maggior parte dei casi almeno. Come la noce moscata nei piatti o la gelosia in amore, il marketing ci deve essere ma non si deve sentire. Possiamo rendere la pubblicità subliminale di nuovo?