Per affrontare l'inverno servono spalle larghe
Niente fa sentire potenti come la giusta silhouette
07 Novembre 2023
«Don’t you know it’s the year of the shoulder? Big shoulders are in and small shoulders are out, out, out!», si diceva più di vent’anni fa in uno degli episodi più sconclusionati di Will & Grace dove si ipotizzava, cosa impensabile per l’epoca, il ritorno del trend della power shoulder anni ’80 tra le ricche signore di Manhattan. La si chiama “power shoulder” non a caso: lo stile definì l’abbigliamento da ufficio anni ’80, epoca in cui le donne iniziarono la loro scalata verso i vertici delle aziende con indosso tailleur e giacche da cui era bandita ogni mollezza e che, invece, dovevano esprimere tutta quella volitività e forza dei colleghi uomini. Non è un caso che le spalline siano associate per lo più alle giacche, ma in verità siamo pieni di esempi di power shoulder sparsi un po’ dovunque: dalle giacche di jeans e gli abiti da sera di Dolly Parton alla couture vista addosso a Joan Collins in ogni episodio di Dynasty, fino al vestito rosso di Lady Diana e alle uniformi di Wynona Rider e Shannon Doherty in Schegge di Follia. Oggi si parla di un loro ritorno. Anche gli occhi più disattenti le hanno notate negli show di Saint Laurent, dove le spalle dei blazer erano monumentali, e anche da Balenciaga, Bottega Veneta, Dior, Diesel, Celine e, naturalmente, da Prada dove le linee di giacche enormi, ma sottili come camicie, partivano da enormi spalle e confluivano in una stretta vita. Ma da dove viene la power shoulder?
Lo stile venne inaugurato da Elsa Schiapparelli per la collezione autunno-inverno del 1931. Secondo Bettina Ballard, che sarebbe poi diventata direttrice di Vogue America, lo stile era stato soprannominato “soldato di legno”. L’anno successivo, nel 1932, il grande costumista di Hollywood Adrian Greenberg fa indossare alla più grande diva dell’epoca, Joan Crawford, due abiti con enormi spalle in Letty Lynton. Le copie di quel vestito abbondarono – stando al WSJ in quell’epoca “adrianizzare” un vestito significava allargargli le spalle e ridurne la vita. Lo stile divenne un successo enorme dominando anni di vestiario femminile, in Francia i vestiti con le spalline erano noti come “les americains” e Joan Crawford continuò a indossare simili abiti dentro e fuori lo schermo e specialmente in due dei suoi capolavori, Mildred Pierce e Humoresque.
Negli anni ’40, quel trucco visivo che sfilava la silhouette delle donne iniziò a significare anche come, durante i duri anni della guerra, le donne avessero iniziato a lavorare e incaricarsi delle incombenze che di solito spettavano ai mariti assenti: i vestiti delle donne assomigliavano a quelli degli uomini proprio riflettendo questo nuovo momento della società. Ma la moda cancellò presto questo trend: già nel ’45 Cristobal Balenciaga aveva rimosso le spalline e lanciato la spalla curva o inclinata e, due anni più tardi, Christian Dior aveva obliterato le spalle imbottite con la collezione Haute Couture di nome “Corolle” dalle spalle sottili e aggraziate. Nei decenni successivi le spalline ebbero alti e bassi: se nei primi anni ’40 erano in ogni capo, negli anni ’50 si limitavano soltanto a giacche e coprispalla. Nel ’57 furono Balenciaga e Givenchy a introdurre una spalla più strutturata e imbottita e andarono svanendo con l’eccezione di Marc Bohan che, per Dior, creò nel 1963 una collezione dalle spalle squadrate e imponenti.
Fu l’ultimo guizzo di un trend che praticamente sparì per vent’anni con poche ed eccellenti eccezioni: nel 1971 fu Yves Saint Laurent a rilanciare la moda anni ’40 con una collezione che il The New Yorker definì «una grande parodia della moda» subissando il designer di critiche che si rinnovarono per la collezione soprannonimata “Scandale” che rievocò per molti i tristi giorni della Seconda Guerra Mondiale; sempre nel ’71 Mugler debuttò col suo primo show a Parigi in cui la spalla forte degli anni ’40 pareva tornare e Valentino presentò spalline imbottite nella FW72 mentre, nel ’74, fu Nino Cerruti a imbottire le spalle delle sue giacche. Il più insistente fu comunque Saint Laurent che rese le spalle più leggere e continuò a mostrarle finché, sul finire del decennio, vennero finalmente apprezzate come officewear. La stagione della svolta, però, fu la FW78: Saint Laurent mandò spalline in passerella e venne adorato, seguirono Lagerfeld da Chloé, Thierry Mugler e le sue Überfrauen tradussero la re-immaginazione della figura femminile in una silhouette propriamente imponente, ma anche Claude Montana e Pierre Cardin.
A Milano, Armani faceva impazzire la stampa con i suoi cappotti dalla spalla marziale; a New York, Norma Kamali, che ebbe l’idea di inserire spalline imbottite in una felpa grigia mescolando il fascino delle dive anni ’40 con il nascente movimento del fitness e con lei Perry Ellis e Calvin Klein. Nel frattempo, a Londra, appena nominata Primo Ministro, Margaret Tatcher creò il suo celebre look da Lady di Ferro proprio usando le spalline, che la rendevano simile al resto dei colleghi uomini. A seconda di chi si chiede, l’iniziatore del trend fu diverso – ma per impatto della sua figura pubblica, tempismo del suo incarico e ruolo centrale nella cultura neoliberista che nacque all’epoca, noi siamo inclini a considerare Margaret Tatcher la vera trendsetter. A lei seguì chiunque altro. Due nomi su tutti dominano l’epoca: Madonna e Grace Jones, ma anche la Melanie Griffith di Working Girl che ne rimane a oggi il più amato esempio al cinema.
Ma perché un ritorno oggi? Col finire dell’ubriacatura capitalista degli anni ’80, il pubblico reagì all’eccesso delle silhouette, dei materiali e delle decorazioni con un look opposto, semplificato, sobrio. Quelle spalle esagerate, così legate a un’epoca e a dei valori che avevano smesso di essere moderni svanirono progressivamente. In poco tempo, a indossare le esuberanti spalline restò solo Fran Drescher negli episodi de La Tata, per simboleggiare l’eccentricità del suo personaggio. La silhouette riemerse un ventennio più tardi, tra 2009 e 2011, grazie a Lady Gaga e Rihanna, per venire poi cancellata dall’ondata streetwear e ritornare timidamente in auge con il Me Too fino a questa stagione, dove è emersa in una forma più conclamata.
The hotly debated Gold Show. Lady Gaga in a shoulder piece from the show. https://t.co/AWqgRLnkRl pic.twitter.com/VPcNTo4rqQ
— “Gay Baby Daddy”- Azealia Banks (@beyonceseyelid) December 4, 2021
Ma perché il motivo di questo ritorno? Noi ne identifichiamo due: il primo, il più astratto e più banale, è il ritorno del power dressing, una serie di “significanti sartoriali” che proiettano autorità, alto status sociale e importanza. La Bibbia del power dressing erano i manuali Dress for success di John T. Molloy che, di base, suggerivano di rendere più severa e mascolina la parte superiore del corpo mantenendo aspetti femminili nelle gonne e negli accessori, de-sessualizzando e de-oggettificando il corpo femminile aiutando le donne a porsi come presenze autorevoli sul luogo di lavoro. L’idea era quella di creare una severità genderless che eliminasse la frivolezza percepita del guardaroba femminile e riecheggia bene con i valori della nuova ondata femminista che definisce la nostra epoca. Il secondo, forse un po’ più cinico, riguarda il quiet luxury: quando colori e capi si semplificano, appiattendosi sul puramente sartoriale, volumi e materiali finiscono in primo piano e dunque diventa necessario, per dare carattere e identità a capi abbastanza generici, creare una silhouette più incisiva. La maniera più facile di creare una silhouette forte è, banalmente, imbottire le spalle, riecheggiando anche il trend “cappotto da uomo su una donna” che quest’anno si è espresso in tutta la sua potenza.