Come la Gen Z sfida il burnout nella moda
E fa tremare di paura i vertici dei brand
03 Novembre 2023
La moda è nota per essere un terreno fertile per il burnout. Per anni è stata dominata da una mentalità del tipo "dovresti essere felice di essere qui" per giustificare le lunghe ore di lavoro, le montagne di stage non retribuiti e in generale un clima difficile per quanto riguarda il lavoro. L'immagine dell'industria, ampiamente idealizzata, continua a sembrare splendida dall’esterno. È un sogno avvolto in strati di seta che lentamente comincia a disfarsi, specialmente da quando è entrata in gioco la Gen Z. Come può il sistema perseverare nei suoi vecchi e ostinati metodi quando all'improvviso una generazione inizia a mettere in discussione le pratiche di lavoro tossiche su cui l'industria ha operato per anni? Per definizione, tutti coloro nati tra gli anni 1996 e 2010 rientrano nella categoria della Gen Z. Sono il seguito dei Millennials e il preludio alla Generazione Alpha. Secondo McKinsey and Company, la Gen Z ha molte caratteristiche che la distinguono dai Millennials, a cominciare dalla quotidiana ansia sul riscaldamento globale e da un approccio più aperto verso la salute mentale. Collegando ciò al sistema della moda, si potrebbe dedurre che le caratteristiche generali della Generazione Z non siano coerenti con quelle del sistema per come è funzionato fino a ora. Inoltre, questa generazione è conosciuta per il suo alto idealismo: «[...] fanno parte di una nuova ondata di "consumatori inclusivi" e sognatori socialmente progressisti», afferma lo studio. «Più di qualsiasi altra generazione, la Generazione Z richiede collettivamente uno scopo e una responsabilità, la creazione di maggiori opportunità per persone di sfondi diversi e sottorappresentati, e pratiche sostenibili e ecologiche rigorose», continua lo studio.
@karinabondlondon It’s Halloween season…so time for a fashion horror story! But seriously…this should not be okay, and as naive as I am about being able to change this - I am very passionate about raising awareness of misstreatment of interns in my beloved fashion industry. . . . #storytime #emergingdesigner #fashionintern #fashioninternship #horrorstory #crazystory #exposingthetruth #fashionstorytime #fashiondesigner Paris巴
Portare avanti questi valori scatena quindi una reazione naturale contro i modi conservatori e antiquati dell'industria. È un segreto non detto che nella moda contino meno le competenze delle conoscenze e dei privilegi personali e familiari. Ad esempio, nella maggior parte delle industrie, ci si potrebbe aspettare un lavoro ben retribuito dopo una laurea magistrale. Nella moda, si è fortunati se si riesce a ottenere uno stage scarsamente pagato in un brand a Parigi. Recentemente, la designer londinese Karina Bond ha pubblicato un TikTok in cui descrive la sua esperienza durante uno stage presso un brand londinese. All’inizio del video dice: «Credo che sia come Il diavolo veste Prada, ma peggio». Poi prosegue raccontando la sua storia: il primo giorno le hanno fatto cucire le etichette sui vestiti - circa 50 e e ha finito la sua prima giornata di lavoro alle 3 del mattino. Intorno alle 18:00, quando ancora non aveva mangiato, ha chiesto al responsabile dello studio se poteva fare una pausa. Il responsabile le ha riso in faccia a e le ha detto: «Non si mangia finché non si finisce il lavoro». Karina ha lasciato il brand dopo tre giorni, e guardando la sezione dei commenti del video ha confermato che il marchio per cui aveva fatto lo stage era Dilara Findikoglu. Inoltre, all'inizio del suo video, ha menzionato la voce secondo cui qualcuno nel brand aveva lanciato un vaso contro uno stagista. Anche se la designer non era presente il suo primo giorno di lavoro, quell'ambiente di lavoro tossico e intenso l'ha spinta a lasciare.
"What if I don't want this?"
— Peter DeLorenzo (@PeterMDeLorenzo) August 2, 2019
"Oh, don't be silly. Everyone wants this. Everyone wants to be us."
(Anne Hathaway as Andy Sacks talking to Meryl Streep as Miranda Priestly in "The Devil Wears Prada") pic.twitter.com/6Ljok4DFYT
Lavorare per giovani designer può essere entusiasmante, ma la maggior parte di loro ha difficoltà a pagare il personale base, figuriamoci gli stagisti. In un profilo del New York Times in cui la ex vincitrice del CFDA Elena Velez ha parlato apertamente dello stato della sua attività, la giornalista Jessica Testa scrive: «Ma la signora Velez è consapevole che la sua incapacità di pagare le persone potrebbe essere un problema molto più grande rispetto a alcune delle sue opinioni più esplicite. Ha scherzato sul fatto che prima o poi sarebbe stata colpita dalle "inevitabili accuse di ambiente di lavoro tossico». I marchi che impongono lunghe ore di lavoro al loro personale con una paga scarsa non sono una novità, ma la paura costante di essere smascherati è una novità. La Generazione Z è la prima generazione a crescere con Internet e se vogliono raccontare la loro storia, possono farlo istantaneamente - nella luce soffusa delle loro case o mentre vanno alla fermata dell'autobus. Controllano la narrazione da sé. Molti brand temono questa fame di verità - perché a parte qualche influencer, la maggior parte di loro non può essere messa a tacere con denaro pubblicitario.
Nel nuovo numero del loro magazine, chiamato This is not about you(th), 1Granary presenta dichiarazioni anonime di oltre 300 professionisti del settore - tutti anonimizzati per proteggere gli accordi di non divulgazione che hanno tutti firmato prima di iniziare a lavorare. Uno di loro dice: «Inoltre, la generazione più anziana - sto parlando di persone che hanno ora 50-55 anni - era così brava a gestire gli ambienti di lavoro tossici nella moda in quel periodo, quindi si sono sorbiti tante cose perché stavano affrontando tante cose loro stessi». Ora, la tossicità potrebbe non diminuire, ma diventare più visibile, poiché sempre meno persone sono disposte a tollerarla.