L’impatto di Mina nella moda italiana
Più che un’icona, più che una cantante, un punto di riferimento costante
25 Marzo 2024
L’immagine di Mina è prima di tutto una chioma rossa, i suoi occhi dipinti, i gesti inequivocabili con cui si muove a ritmo di musica. Lo sguardo dello spettatore che la osserva, che sia di un ragazzo degli anni ’60 di fronte ad un televisore o di un giovane che la ammira dallo schermo di un telefono del nuovo millennio, si posa prima sulla sua persona, poi sull’abito. Ciononostante i costumi indossati dalla cantante durante le sue apparizioni televisive sono stati capaci di raccontare una storia profonda quanto la sua voce, e così come la sua musica si ritrovano ad essere ancora attuali. Qualche settimana fa, la potenza sensuale del suo timbro è tornata a pervadere Milano in occasione dello show di Gucci, con Ancora, ancora, ancora di sottofondo alla sfilata in un adattamento più elettronico firmato Mark Ronson, e di Andrea Adamo, che ha scelto il brano Vorrei averti nonostante tutto per la soundtrack della sua sfilata SS24 così come la figura della Tigre di Cremona come ispirazione principale della nuova collezione. L’ultima Milan Fashion Week ha ricordato al pubblico della moda italiana la grandezza dello stile e della persona di Mina, un’artista che che non ha mai smesso di influenzare la cultura del nostro Paese, anche nel modo di vestire.
È con un abito rubato alla mamma che è iniziata la relazione di Mina con la moda di scena, una metafora che a posteriori rispecchia appieno il suo approccio inusuale a costumi convenzionali ma estremamente audaci. Dal suo esordio a Pietrasanta nel 1958 al suo addio alla televisione nel 1978, gli abiti di Mina di quegli anni hanno unito stile convenzionale a stravaganza, in volumi eccessivi e silhouette inusuali. I suoi look includevano tagli sartoriali tradizionalmente maschili, costumi che si contrappongono in modo romantico alla sua voce calda e al suo sguardo pungente e languido che più volte ha portato alla censura televisiva - a Sanremo nel 1961 per il modo in cui scorreva le dita sulla bocca in Mille Bolle Blu, a Mille e una Luce nel 1978 per il primo piano sulle labbra in Ancora, ancora, ancora. Il suo stile abbracciava la teatralità tipica che i programmi Rai adulavano in quegli anni, tra paillettes e piume di struzzo, e la particolarità della sua persona fuori dal comune con abiti potenti, che invece di scoprire il corpo lo avvolgevano completamente. C’erano scolli vertiginosi, sì, ma abbinati a pantaloni lunghi, spalle ampie, maniche a pipistrello.
In un’intervista a Oggi del 1966, l’artista ha dichiarato di avere un rapporto ben distaccato dal mondo della moda:
«Non la seguo, compro solo cose che mi piacciono. E mi piacciono moltissimo le scarpe, anche quelle coloratissime, gli abiti sportivi e quelli lunghi, da sera. Non mi piacciono i gioielli: unica eccezione un paio di solitari che mi sono regalata e una serie di anellini di nessun valore che mi diverto a distribuire su tutte le dita. Detesto lo stile di Courréges che trasforma le donne in adolescenti senza sesso.»
E infatti gli archivi indicano designer che sapevano giocare con i volumi spiritosamente ma con eleganza come i preferiti della cantante (Pucci, Valentino, Mila Schön, Germana Marucelli, Ken Scott, Jole Veneziani e Krizia) piuttosto che quelli che in quegli anni seguivano una certa scia di sregolatezza. Nonostante questo suo punto di vista conservazionistico riguardo la moda, Mina è stata la prima artista in Italia ad indossare una minigonna in televisione, nel 1970.
Al di là dei suoi iconici make-up look, è l’approccio al costume ciò che rende Mina un punto di riferimento per la moda contemporanea. Dal completo realizzato da Alessandro Michele per Achille Lauro alla più recente collezione di Andrea Adamo alla Milan Fashion Week, i designer che hanno provato ad emulare l’immagine della Tigre di Cremona si sono lasciati toccare sì dalla sua chioma rossa, dalle sopracciglia sottili e dalle palpebre ricoperte di ombretto, ma anche dal senso di serietà, di eleganza e di autoaffermazione con cui la cantante ha catturato lo sguardo degli italiani per diverse decadi. I look realizzati in collaborazione con il truccatore Stefano Anselmo e gli abiti del costumista Piero Gherardi hanno figurato nella storia della moda italiana - che negli anni ‘60 e ‘70 rimaneva qualche passo indietro rispetto all’estero - l’immagine imponente di una donna forte, non più vittima del proprio corpo e dello sguardo maschile, ma padrona. Prova ne è stata la copertina dell’album Cremona, in cui Mina è stata vestita niente di meno che da Versace, il mago della sensualità fatta abito.
Oltre ad essere un’icona nel mondo della moda, la cantante è stata un punto di riferimento per la comunità queer italiana, per i suoi look appariscenti ma anche per il suo spirito da diva ribelle, per le sue movenze e le sue provocazioni. Artisti internazionali come Lady Gaga, Frank Sinatra, Barbara Streisand e George Michael ne hanno riconosciuto la grandezza - l’ultimo ha famosamente dichiarato, «Mina è la prova che Dio esiste». Tutte le volte che la moda ha guardato al mondo Mina, dagli editoriali di Vogue agli spot Dolce&Gabbana, dalla trasformazione di Giselle Bündchen del 2018 all’ultimo show di Gucci, il prodotto riusciva ad evocare l’immagine dell'artista solo nei casi in cui l’abito, sebbene di lusso e ai massimi livelli dell’eleganza, finiva in secondo piano. Perché se di Mina abbiamo amato gli abiti e il trucco, in fondo, il merito è stato in primis del suo carisma.