Alla Berlin Fashion Week la moda è una questione di prospettiva
La settimana della moda tedesca può davvero aspirare a un ruolo da protagonista?
13 Luglio 2023
Mentre Milano e Parigi sembrano ormai due realtà irraggiungibili, nei meccanismi che regolano lo spesso complesso sistema moda c’è un gruppo di capitali mondiali pronte a prendersi un posto di rilievo nelle Fashion Week. Se Copenaghen è ormai proiettata verso un ruolo da protagonista, la prossima città europea pronta a candidarsi potrebbe essere Berlino, che dal 10 al 12 luglio ha visto andare in scena circa 20 appuntamenti, tra show e presentazioni. Capitale culturale ma non certo economica della Germania, la proposta andata in scena durante la Berlin Fashion Week è la perfetta rappresentazione dello stato embrionale di una Fashion Week che da un lato rispecchia lo status della città tedesca e dall’altro scalpita per ampliare l’appeal commercial dei suoi brand. Realtà come Melisa Minca o Lucas Meyer-Leclère (tra i nomi della prima giornata) si muovono in perfetta antitesi a ODEEH, proponendo un’idea di moda più vicina alla visione artistica che a quella commerciale. Nonostante questa contrapposizione sia applicabile a gran parte dei nomi visti in questi giorni, alcuni hanno dimostrato la capacità di muoversi a metà tra i due mondi: è il caso di Litkovska, brand ucraino di Lilia Litkovska che ha portato in passerella un’idea di tailoring tanto classica quanto interessante al punto da non sfigurare anche su palchi più prestigiosi; ma anche della moda post-apocalittica di Sia Arnika e dell’immaginario visivo proposto da Richert Beil.
Se William Fan ha confermato il suo status di brand dal respiro più internazionale e commerciale con uno show grandioso nella cornice di un Gropius Bau addobbato a festa, SF10G è stato il vero protagonista della Berlin Fashion Week. Tutto, dal setting alla scelta di una colonna sonora suonata dalla compositrice tedesca M E R E D I, hanno contribuito ad elevare una collezione che sembrava un viaggio tra i ricordi d’infanzia della designer Rosa Marga Dahl. Menzione d’onore a DZHUS, un arguto mix tra CdG e Rick Owens che fa della trasformazione il suo punto di forza (durante la show la designer metteva concretamente mano ai look trasformandoli radicalmente in un’idea interessante da vedere ma che forse richiederebbe un’esecuzione diversa), e Acceptance Letter Studio, che ha unito la performance al prodotto con uno show che aveva tutte le carte in regola per diventare virale.
E tra la gita al planetario di Milk of Lime e il caldo asfissiante dello show di MARKE, a chiudere la Berlin Fashion Week è stato NAMILIA con uno show votato all’eccesso. Tra scritte che sfioravano la blasfemia ("You can’t enter heaven unless Jesus enters you") e una quantità di croci che non si vedono nemmeno la domenica a messa, tutto nell’idea dei designer Nan Li e Emilia Pfohl voleva essere esagerato: dai look, che alternavano abiti con strascichi chilometrici e altri ben più succinti, agli accessori, su tutti un’enorme Birkin che darà sicuramente lavoro al team legale di Hermès. Ma al di là di quanto possano essere ancora efficaci alcune provocazioni, NAMILIA offre il metro perfetto per misurare lo stato della Berlin Fashion Week. In crescita, sicuramente, ma anche obbligata a scegliere da che parte stare tra prodotto e performance. Un processo che richiede tempo ma che, come è giusto che sia, siamo pronti a seguire con attenzione.