Quanti show dovrebbe organizzare un brand ogni anno?
Dior è tra i brand più prolifici, con una media di uno show al mese nella prima metà del 2023
29 Maggio 2023
Quando la stagione degli show Resort/Cruise è al suo culmine e le fashion week estive sono sempre meno distanti è facile provare la sensazione che i brand ci stiano bombardando di show. Il ritmo in realtà non è troppo diverso dagli altri anni ma se c’è una cosa che questa stagione è saltata all’occhio è che un brand nello specifico, Dior, ha presentato le sue collezioni Pre-Fall 2023 e Resort 2024 con due destination show back-to-back a Mumbai e in Messico – una prima volta per il brand di LVMH che non solo negli ultimi anni è diventato sinonimo di show spettacolari ambientati in epiche location internazionali ma che quest’anno arriverà a organizzare nove show totali, più di qualunque altro brand del settore oggi. Il titano francese, che ha registrato 21 miliardi di revenue solo nel primo trimestre dell’anno, non si è fermato un secondo nel 2023: finora ha infatti tenuto un ritmo medio di uno show al mese dall’inizio del 2023 – ritmo che manterrà fino a luglio quando saranno presentate le collezioni menswear di giugno e Haute Couture di luglio, a cui seguiranno il ready-to-wear di settembre e la tradizionale Pre-Fall maschile di fine anno, arrivando a organizzare nove show in un anno. C’è però una particolarità: finora il brand aveva presentato la Pre-Fall femminile tramite un semplice lookbook, e la decisione di trasformare anche questa collezione in un destination show lascia intendere che i dirigenti di LVMH desiderino alzare il tiro, aumentando la frequenza di questi eventi di alto profilo. Il numero di show organizzati da Dior è sicuramente sopra la media dato che, ad esempio, giga-marchi come Louis Vuitton, Gucci e Chanel ne hanno organizzati finora tra i tre e i quattro arrivando a una media generale di sei show annuali.
Ma perché questa disproporzione? Secondo Andy Moller, direttore creativo di Studio Boum, agenzia che si occupa dell’organizzazione di eventi e sfilate a Londra, l’obiettivo è quello di ottenere «una risonanza più forte rispetto a un singolo evento globale che parla in modo più ampio in aree in cui una discussione sfumata è impossibile» dato che «ha senso celebrare e riaffermare regolarmente lo spirito e le fondamenta della Maison con la Couture e il Prêt-à-Porter a Parigi, ma anche parlare e costruire nuovi clienti nelle regioni con altre storie intorno alla Resort». Un dato che poi si traduce in vendite: insieme a Louis Vuitton, Dior è diventato il secondo best performer della divisione moda di LVMH con un incremento del 17% delle revenue registrata solo nel primo trimestre di quest’anno e sicuramente destinata a crescere. Anche senza discendere in eccessivi dettagli finanziari, la correlazione tra crescita delle revenue e numero di show è abbastanza diretta in mercati-chiave per l’espansione del brand, in questo caso il Messico e l’India – quest’ultima in particolare è il paese di residenza del 36% dei miliardari mondiali, capace di generare da sola 7,5 miliardi di dollari in vendite nel 2022 con proiezioni secondo cui le dimensioni del mercato del lusso del paese saranno più che triplicate nei prossimi sette anni. «Organizzare eventi locali fa parlare le persone localmente», spiega Moller. «Sono investimenti redditizi? Beh, è tutto molto ponderato e strategico, quindi non credo che si svolgerebbero così spesso se non lo fossero».
È chiaro che uno show non è l’unico modo di stringere i rapporti con la community locale di un certo brand – a questo proposito Andy cita Prada Mode, una serie di eventi privati organizzati dal brand in giro per il mondo (la più recente, e ottava, edizione si è tenuta a Dubai lo scorso novembre) dedicati all’arte e alla cultura contemporanea. Questi eventi, secondo Andy, «costruiscono universi che vanno oltre la sfilata per esplorare l'identità del marchio, creando l'effetto desiderato in modi molto più dinamici e interessanti» anche se questo tipo di show «rafforza e consolida le relazioni e mette il marchio in primo piano. Il bagliore dei grandi eventi continua anche dopo che la sfilata finisce e coinvolge molti tipi diversi di clienti, non solo quelli più importanti». Di recente, ad esempio, il business model seguito da Chanel e dalla sua CEO Leena Nair, che ha portato a una crescita straordinaria delle revenue quest’anno, ha avuto al suo centro l’esperienza di vendita dedicata ai top client nei salons privati del brand («l’esperienza di lusso definitiva» l’hanno definita in molti) affiancata all’apertura di poche boutique tradizionali e a molti negozi dedicati invece alla vendita diretta di cosmetici e profumi che, per altro, spopolano online (il brand vende online solo questi, mentre abbigliamento e gioielli vanno comprati direttamente in negozio) arrivando costituire il 20% delle vendite totali della categoria. In questo caso da un lato esiste l’esperienza degli show che, come quelli di Dior, vedono coinvolti anche i top client – ma dall’altro si investe di più su un tipo di relazione completamente personale tra brand e big spender. Questa è una strada che molti brand, tra cui anche Gucci, stanno seguendo – ma forse la strategia di Dior, che per introiti supera di molto Chanel, è quella di un’azienda che vuole percorrere entrambe le strade unendo l’esperienza bespoke al grande spettacolo pop dei destination show. Funzionerà? Saranno i dividendi a dirlo.