Hermès ha abbandonato il Fashion Pact per la sostenibilità
Insieme a lui anche Stella McCartney
23 Maggio 2023
Il Fashion Pact, lanciato nel 2019 su sollecitazione del presidente francese Emmanuel Macron, mirava ad affrontare l'inquinamento ambientale dell'industria della moda. Con giganti del lusso come Kering, Chanel e Prada, i colossi dell'abbigliamento sportivo Nike e Adidas e i titani del fast fashion H&M Group e Inditex tra i suoi membri, il patto rappresentava circa un terzo del potere decisionale del settore della moda. Tuttavia, nonostante le promesse iniziali, l'efficacia del Patto della moda è stata messa sotto esame. In particolare, a distanza di quattro anni dalla firma (che fu, ricordiamolo, altamente pubblicizzata), è emerso che alcuni dei firmatari del patto hanno ritirato il proprio appoggio all’iniziativa, sollevando dubbi sull'impatto dell'iniziativa. Il che non sorprenderebbe se si trattasse, poniamo, di H&M che già in passato è stato accusato di greenwashing – ma così non è. Anzi, proprio H&M si ha moltiplicato il proprio impegno nel Pact dato che la CEO del gruppo svedese, Helena Helmersson è diventata co-presidente dell'associazione. Ad andarsene sono stati due marchi di cui nessuno sospettava: Hermès e Stella McCartney, ma anche la catena di grandi magazzini Selfridges. Ora i dubbi sollevati dall’abbandono di due nomi del genere gettano una luce preoccupante sul patto in sé stesso: Hermès, ad esempio, è un brand noto per la serietà del suo approccio, al punto da rendere pubblici i propri report sulla sostenibilità in uno sforzo di trasparenza; Stella McCartney, invece, ha basato tutto il suo brand intorno alla sostenibilità e dunque il suo passo indietro sembrerebbe gettare un alone di sfiducia sulla validità del patto stesso.
Il mondo del lusso (ma anche l’high street, si vedano gli sforzi fatti dal gruppo Inditex) ha effettivamente stabilito delle linee d’azione abbastanza stringenti sul piano della sostenibilità – l’unico problema è che ciascun gruppo lo ha fatto internamente. In altre parole, i dubbi che circondano il Fashion Pact riguardano la capacità dell’industria come insieme generale di autoregolarsi e dialogare con attori politici ed economici del più vasto scacchiere economico mondiale. Sebbene la leadership del Patto della Moda sostenga di aver trascorso gli ultimi tre anni a gettare le basi per un concreto cambiamento, i progressi sono stati lenti e difficili da misurare. I firmatari sono tenuti a riferire annualmente i loro progressi, ma molti lo fanno in modo selettivo o non lo fanno affatto. È sorprendente che quasi il 40% dei firmatari non si sia impegnato ufficialmente a fissare obiettivi verificati e basati sulla scienza per ridurre le proprie emissioni, un requisito fondamentale del patto. Questa mancanza di impegno solleva preoccupazioni sulla volontà o capacità dell'industria di dare priorità alla sostenibilità. Tuttavia, sono stati compiuti alcuni passi positivi come quelli dei gruppi del lusso di Zegna e Kering hanno compiuto sforzi significativi per affrontare l'impatto ambientale delle loro attività. Nonostante questi risultati individuali, l'industria della moda nel suo complesso deve fare di più per affrontare il problema dell'inquinamento.
It is now “more likely than not” that the world will briefly overshoot its 1.5°C climate change target within the next five years, according to meteorologists at the UK Met Office https://t.co/kwoRC1asrR
— New Scientist (@newscientist) May 17, 2023
Sebbene il Fashion Pact abbia evidenziato l'impatto dell'industria della moda sulla natura e sulla biodiversità, la traduzione di un maggiore impegno in azioni tangibili rimane incerta. Circa il 40% dei membri ha fissato obiettivi legati alla biodiversità con l'aiuto di strumenti e ricerche sviluppati dal Patto, ma la percentuale di membri con strategie specifiche per la biodiversità in atto è solo del 21%. Inoltre, l'attenzione dell'iniziativa per i progetti di energia rinnovabile, sebbene lodevole, è solo un punto di partenza. Un dato positivo, se non altro perché segnala l’interesse che brand e gruppi nutrono nei confronti del problema, è che nel tempo nuovi firmatari si sono aggiunti al patto: il gruppo americano di J. Crew, Chloè che già sotto la guida di Gabriela Hearst ha ottenuto lo status B Corp e infine, tra i più importanti per la sua diffusione in tutto il mondo e il suo volume di vendite, Asics. Nonostante i progressi compiuti da alcuni marchi, comunque, è necessaria un'azione più efficace per attuare un cambiamento sostanziale nell'industria della moda e affrontare le sfide ambientali sempre più pressanti che il mondo deve fronteggiare mentre le temperature continuano ad alzarsi anno dopo anno.