Si scrive “moda”, si legge “Carhartt WIP”
Come la moda sta prendendo ispirazione dal celebre brand ispirato al workwear
11 Maggio 2023
Quando Miu Miu ha conquistato i social con il suo show FW23, durante il giorno di chiusura dell’ultima Paris Fashion Week, il primo paragone che molti hanno fatto è stato con Carhartt WIP: quelle felpe con zip iper-strutturate e la giacca color biscotto con il colletto nero, i tessuti ispirati workwear con i colori della terra hanno ricordato a molti le giacche Detroit e Light Lux del marchio-simbolo dell'estetica workwear. La cosa sarebbe rimasta nel reame della citazione sapendo come il brand sia popolarissimo fdi questi tempi – ma la citazione di Miu Miu non è un caso isolato. Flash forward alla settimana scorsa, quando Balenciaga ha presentato la sua collezione FW23 intitolata Fitting Rooms in cui si vede una giacca con quattro tasche e un logo quadrato sul taschino sinistro che ricorda vagamente il modello Michigan del brand. Iniziando a cercare e scavare attraverso i look di diverse sfilate si cade nella proverbiale tana del bianconiglio: i celebri pantaloni Double Knee sono apparsi in passerella da Givenchy e di recente nello store di Loewe (non erano nello show), sempre nella collezione SS23 di Loewe si vedono però versioni ultra-luxury delle giacche Car-Lux e della Cord Rugy Polo; la Chore Jacket in denim invece appare replicata tanto da Alexander McQueen che da Gucci; rielaborazioni della giacca Detroit e Michigan invece sono apparse nell’ultimo show di Burberry e in quello di Wooyoungmi; nella Pre-Fall 2023 di Louis Vuitton invece appariva una giacca a metà tra il modello Tristan e il modello Monterey di Carhartt WIP, una camicia ricorda da molto vicino il modello Salinac; mentre da Kenzo avevano apparsi la salopette Pip e il Windbreaker Pullover. Questo senza menzionare brand come Marni, Junya Watanabe e Sacai che hanno tutti collaborato direttamente con Carhartt WIP per le proprie collezioni più recenti.
Parliamo chiaramente di ispirazione e non di plagio sia perché i modelli di Carhartt WIP sono i più iconici di un repertorio workwear fatto di silhouette classiche che si somigliano tutte tra loro, sia perché ognuno dei pezzi appena citati è abbastanza distante dai suoi modelli di riferimento anche se alcuni dettagli specifici (disposizione delle tasche, loghi quadrati a sinistra, colletti neri o a contrasto, l’uso del color tabacco) ne tradiscono la parentela. Più che altro, questo numero enorme di citazioni e rimandi a Carhartt WIP parla più del longevo successo del brand che della mancanza di creatività dei designer del lusso. Da quando molti brand hanno target di vendita da rispettare, poi, è abbastanza normale creare riletture singolari di pezzi best-seller che è anche il motivo per cui così tanti brand di lusso rifanno costantemente nuove versioni delle Air Force 1 di Nike, delle Converse Chuck Taylor o delle Vans. Non di meno, le tante apparizioni di silhouette associabili a quelle di Carhartt WIP dimostrano come la sete di workwear sia ben presente tanto per i cool kids che appaiono in pagine come @uniformdisplay quanto per la clientela più ricca del mondo. Ora, questa sete in realtà non si è mai davvero esaurita, ma negli ultimi tempi sembra aumentata secondo modalità dissimili dalla diffusione dei classici micro-trend nati e morti in tre mesi. Dunque cosa succede? L’operazione che sembrano voler fare i brand, in realtà, non è tanto un “prelievo” dal repertorio di uno stile che va per la maggiore quest’anno, ma sembra più l’elevazione di singoli pezzi classici operata attraverso un lavoro sui materiali e le proporzioni. A partire dalla tela bianca degli archetipi del workwear, che costituiscono già da sé un guardaroba completo, si creano nuove sfumature semantiche accorciando l’orlo di un centimetro, cambiando il rigido cotone con il velluto o il cashmere. Questa Carhartt-izzazione della moda ha tutti gli aspetti di una nuova e più duttile formalità.
@macweejuns It’s that easy folks #outfit#ootd#carhartt#workwear#detroitjacket#vintagefashion That's Life - Remastered 2008 - Frank Sinatra
A questo punto vale la pena chiudere la nostra riflessione parlando di come il workwear si sia evoluto in un mondo post-streetwear. Venuta mano la mania di quel decorativismo che dominava lo streetwear, con le sue colorway sempre più intense, i loghi e le stampe brillanti, gli statement, a rimanere intatta è stata la funzione e la comodità di quegli abiti che, opportunamente reinterpretati, hanno tutti i numeri per costituire dei nuovi classici. Tra i tanti brand sorti all’ombra di Virgil Abloh e poi ricaduti nell’ombra al volgere delle mode, sono stati i grandi marchi di workwear a resistere meglio dato che il loro prodotto non ha bisogno di evoluzione, rappresenta in un certo senso sia un’alternativa identitaria agli anonimi jeans di Zara, che una reinterpretazione già fatta e finita di quel senso di “nuovo classico”. In altre parole, nell’epoca post-streetwear brand come Carhartt WIP e Dickies sono passati da fenomeno collaterale al boom della moda democratica a parte integrante di una lingua franca che il pubblico, specialmente più giovane, può apprezzare a ogni livello di reddito, a ogni latitudine e soprattutto a ogni sfumatura di gusto – c’è chi compra la propria Detroit in negozio, chi invece va a ricercare il pezzo d’archivio Made in USA, chi invece vuole il distressing e via dicendo. Il workwear non è un trend da cavalcare ma una piattaforma su cui costruire – e si è già rivelata uno stimolo abbastanza interessante per l’industria della moda, che ne ha già iniziato a rilavorare i capisaldi.