Quando la moda si dà al balletto
Da Burberry ad Alaïa, i designer elevano il proprio lavoro sul palcoscenico
06 Aprile 2023
Se la passerella della fashion week serve per vendere le collezioni, il palcoscenico teatrale parla di intere visioni creative. E, in effetti, una delle più irriducibili correnti della moda è quella che passa tra i grandi stilisti e i grandi coreografi e che vede i primi concepire e creare i costumi per i lavori dei secondi. Se in passato queste occasioni rappresentavano l’espressione di affinità culturali e personali, come quando, nel ’24, Coco Chanel firmò i costumi per Le Train Bleu insieme a Cocteau e Picasso, oggi i designer le usano per dichiarare tanto il proprio interesse e coinvolgimento nell’arte che il prestigio proprio o del brand per cui lavorano. Il caso più recente è quello di Burberry, il cui direttore creativo, Daniel Lee, da sempre vicinissimo al mondo della danza, ha firmato i costumi per la nuova opera di Wayne McGregor, coreografo residente del Royal Ballet, che sarà presentata il prossimo 9 giugno. «Daniel Lee, un artista dall'immaginazione sfrenata, sta creando qualcosa di innovativo, in movimento e di penetrante bellezza. E, con la sua eccezionale passione per tutte le forme di danza, ci è sembrato il miglior alleato. Insieme, con supporto del team di Burberry, stiamo lavorando a qualcosa di veramente speciale», ha detto McGregor. Si vede bene come la collaborazione rientri nel piano di riposizionamento del brand voluto dal CEO, Jonathan Akeroyd, e basato sul concetto di “modern Britishness” che probabilmente vedrà il brand includere nella propria orbita tutte le più alte manifestazioni della cultura e dell’artigianato inglesi.
Nel 2023, posizionare in alto un brand non significa solo alzare i costi dei materiali e i prezzi dei prodotti finali: al contrario, le ambizioni di elevazione di qualunque brand vanno misurate in base al mecenatismo del brand stesso, al grado in cui il brand può parlare agli insider di un’élite culturale o al cosiddetto 1% di interi paesi (come nel caso di Burberry) o comunità. La tendenza, spesso sposata al concetto vagamente aristocratico di quiet luxury, non si limita a Daniel Lee e a Burberry: a fine marzo 2023, Pieter Mulier di Alaïa ha creato i costumi per Pit, andato in scena all’Opera Garnier di Parigi; l’anno scorso invece fu il compagno di Mulier, Mathieu Blazy di Bottega Veneta, a disegnare sia i costumi per una performance di Lenio Kaklea e per un’altra performance, Event, sempre di Wayne McGregor, che ha chiuso il 16° Festival internazionale di Danza Contemporanea a Venezia. Sempre l’anno scorso furono Raf Simons, Alejandro Gómez Palomo e Giles Deacon a creare costumi per il decennale del New York Ballet, nel 2021 Chanel fornì dieci costumi per la serata di gala che aprì la stagione del balletto di Parigi, mentre nel 2019 Maria Grazia Chiuri di Dior firmò i costumi per Nuit Blanche, balletto di Philip Glass andato in scena a Roma, Thom Browne quelli per la performance Fantastical Dance e Rick Owens quelli per At the Hawk’s Well. Altri designer appassionati di danza: Dries Van Noten, Walter Van Beirendonck, Issey Miyake, Gianni Versace, Gianfranco Ferrè, Iris Van Herpen, Giorgio Armani, Valentino. Nello specifico, rimane memorabile la performance di Barocco Bel Canto di Maurice Bejart, con musiche composte da Prince, tenuta nel Giardino del Boboli a Firenze nel giugno del ‘97 durante la quale Gianni Versace presentò la propria collezione SS98 culminata con l’apparizione di Naomi Campbell in un abito di crêpe di seta che prese una pistola e sparò. Lo stesso Versace sarebbe morto poche settimane dopo proprio per un colpo di pistola a Miami, aveva collaborato con Bejart a ben 12 balletti dicendo che «gli “stracci” li disegno per lavoro. Ma è il teatro il mio vero amore».
@muur_modelss Naomi Campbell for Versace S/S 1998 #fashion #runway #naomicampbell #vercase #kennymuur оригинальный звук - maya
Alla base di queste collaborazioni, che come dicevamo vanno avanti da decenni, c’è sicuramente una propensione naturale del designer verso la danza – non di meno, l’aumentata frequenza con cui negli ultimi due anni i brand hanno lavorato a costumi di scena per il balletto rappresenta la nuova esigenza dei brand di creare valore a partire dall’elevazione culturale. Questa sorta di storia d’amore tra brand di moda e balletto è dunque solo una delle molte facce della poliedrica relazione che il fashion design ha con l’arte – una relazione che spesso finisce vittima della commercialità, ma che più spesso vuole segnalare come un certo direttore creativo e i suoi atelier siano in grado di esulare dalla produzione di una moda immediatamente commerciale e possano invece creare capi concettuali, larger than life e tanto artistici quanto il balletto stesso. Sarebbe facile leggere questo rapporto come cinismo – dopo tutto, si potrebbe pensare, è una promozione come un’altra. Ma così non è, se si considera come l’audience di danza e balletto sia assai più ristretta di quella che potrebbe essere attirata con performance artistiche più accessibili al vasto pubblico. Ma qui il vasto pubblico non è il punto: il punto è dimostrare che oltre a campagne vendita, attivazioni e sfilate, un certo brand o un certo designer sono attivi sulla prima linea della cultura, patrocinando artisti ma anche dando alle arti quella visibilità che il moderno universo digitale e le moderne istituzioni statali non vogliono o sanno dare.