Cosa ci insegna Air sul mondo delle sneaker di oggi
Il film di Ben Affleck racconta del passato ma parla del presente
06 Aprile 2023
«Una scarpa è solo una scarpa finché qualcuno non la indossa» è la frase che più di tutte riassume il senso di Air, il film diretto da Ben Affleck che racconta la genesi delle Air Jordan e della svolta commerciale di Nike negli anni ’80. Ripetuta almeno tre volte nel corso del film - prima da Rob Strasser, poi da Sonny Vaccaro e infine da Deloris Jordan - quasi da diventare un mantra, la frase è il riassunto dell’idea geniale di Vaccaro che ha portato Nike a scavalcare i suoi diretti concorrenti. Erano anni diversi da quelli che abbiamo imparato a conoscere, anni in cui il brand di Beaverton macinava migliaia di dollari con le scarpe da corsa ma faticava a costruirsi una reputazione nel mondo del basket. Converse e adidas dettavano legge e la stessa NBA non se la passava benissimo («Trasmettono le finali in differita» dice ad un certo punto il Phil Knight di Ben Affleck).
In un momento di stagnazione creativa in cui i brand più importanti si limitavano a rincorrere la prossima stella del basket americano, Vaccaro e Knight portarono Nike a pensare fuori dagli schemi per mettere a segno il colpo che non solo ha ridefinito lo status dell’azienda per sempre (al punto che pochi anni dopo ha comprato la rivale Converse), ma ha anche cambiato il mercato delle sneaker in maniera permanente. Una collabo prima che la parola stessa diventasse di uso comune. Ancora oggi l’idea di Vaccaro è la colonna portante di buona parte del mondo delle sneaker, non solo per il valore commerciale che ha oggi Jordan, ma per quello che sono diventate oggi le collaborazioni per l’intero settore.
Proprio per questo, al di là del fascino della storia evocata da Affleck e Damon, mentre racconta la grandezza del mondo delle sneaker Air ce ne ricorda, forse senza volerlo, lo stato di stanca e la sua mancanza di idee. Se da un lato il film vuole essere un omaggio al momento che ha ridefinito buona parte della cultura pop americana e non, dall’altro ci ricorda anche come le grandi svolte arrivino sempre attraverso le grandi idee, osando così come Vaccaro aveva osato scommettendo tutto su un allora giovanissimo Jordan rischiando non solo di perdere il lavoro, ma anche di affossare un’intera azienda. Oggi, dopo che la sneaker culture ha visto il suo periodo di massima grandezza, sembra di essere tornati indietro di quarant’anni, alla ricerca dell’idea vincente che possa riaccendere l’amore di un’intera community.
Ma esisterà mai un nuovo Michael Jordan? Ma soprattutto, esisterà ancora un momento culturale così florido da propiziare un successo come quello raccontato in Air? Erano gli anni di Magic Johnson, di Larry Bird e dei Run DMC (fedeli alleati di adidas), ma soprattutto erano gli anni in cui una scarpa era solo una scarpa e chi la comprava lo faceva per sentirsi parte del mondo dell’atleta che le indossava. Nel corso degli anni nomi del calibro di Neymar e Mbappè hanno firmato collezioni di qualsiasi tipo, mentre altri atleti hanno associato la loro immagine a questo o a quel brand. I rapper erano diventati i nuovi atleti e il successo di Yeezy aveva in parte replicato quanto visto con Jordan. Ma se i tempi cambiano in fretta, e Vaccaro questo l’aveva capito, l’industria delle sneaker non deve limitarsi ad inseguire il trend del momento, ma ha l’obbligo di anticipare quello di domani. Per questo, messa da parte l’esaltazione per una storia tutto sommato unica nel suo genere, l’unicità del racconto di Air non può diventare l’alibi per un’industria che non riesce - o forse non vuole - trovare l’idea capace cambiare ancora una volta un settore che ha un disperato bisogno di cambiamenti.