Breve storia dei conigli nella moda
Da Vivienne Westwood a Marni
31 Marzo 2024
Anche in una società come la nostra, dove simbolismi, credenze e rituali sono stati soppiantati dalle razionali leggi del marketing e della finanza, ci sono dei simboli che sopravvivono ai secoli. Uno di questi è il coniglio, animale che oggi associamo principalmente alla Pasqua, ma che attraverso varie incarnazioni culturali (basti pensare a Bugs Bunny e al Bianconiglio, le più celebri) hanno mantenuto il proprio ruolo di trickster mitologici, di creature liminali simboliche del perpetuo cambiamento naturale e della fertilità, di metafore di prudenza e paura ma anche di stregoneria, di lussuria e di purezza insieme (come le Conigliette di Playboy). Il coniglio, in breve, è un animale su cui si addensano molti significati per la nostra civiltà che spesso, attraverso la sua rappresentazione carnevalesca, sono trapelati anche nel mondo della moda. Una delle più impensabili ricorrenze della moda, ad esempio, è quella del designer che si inchina a fine sfilata mascherato da coniglio: iniziarono Tiziano Mazzilli e Louise Michelsen che, nel 2003, quando chiusero la sfilata del loro brand Voyage a Milano, proseguì Alexander McQueen che alla fine del suo show SS09 apparve a salutare vestito da coniglio, poi toccò a Francesco Risso che si mascherò allo stesso modo per il finale dello show FW20 di Marni mentre l’ultimo a farlo fu Virgil Abloh che indossò un cappello con orecchie da coniglio al Met Gala 2021. Ma questi sono casi isolati. Molti di più sono quelli in cui i conigli sono apparsi in passerella – casi che, tra l’altro, sono andati moltiplicandosi nel corso degli anni quasi che, col passare del tempo, il pubblico abbia iniziato a trovare nuove e rilevanti corrispondenze tra il mondo di oggi e l’archetipo iconografico del coniglio.
Il moderno epicentro della presenza dei conigli nella moda è lo show FW95 di Vivienne Westwood, intitolato Vive la Cocotte, e a metà del quale Kate Moss calcò la passerella in un ensemble grigio, volto truccato e, tra le mani, un coniglio – probabilmente come ambiguo significante di fragile tenerezza e lussuria. Questa, tra l’altro, fu la prima e unica volta che un vero e proprio coniglio apparve su una passerella. La seconda volta che capitò, durante lo show FW21 di Gucci, quello della collaborazione con Balenciaga per intenderci, la passerella era soltanto digitale. Circa tre anni dopo, un’altra icona della moda anni ’90 portò un coniglio in passerella: Anna Sui, che incluse un cappello di pelliccia blu con tanto di orecchie creato da James Coviello in pendant con una giacca dello stesso materiale per la FW98 vista alla New York Fashion Week. La presenza del coniglio, qui, è collegata al fascino che la designer provava per le favole e nello specifico i libri di C.S. Lewis e le illustrazioni in stile liberty di Walter Crane. Dopo una comparsata nella sfilata FW05 di Peter Jensen, il coniglio (sotto forma di un paio di orecchie nere) apparve nella FW07 di Comme des Garçons, uno show che decostruiva i lati più ingenuamente o maliziosamente infantili dell’abbigliamento femminile attraverso colori e materiali delicati e bambineschi, ma anche attraverso cappelli con orecchie di animali tra cui figuravano anche le celebri orecchie di Minni che le bambine indossano a Disneyland.
Dopo la comparsata di McQueen in abito da coniglio (lui, scommettiamo, s’immaginava nel ruolo del trickster) toccò a Marc Jacobs rivisitare l’iconologia del roditore lo stesso anno quando, per la FW09 di Louis Vuitton, il copricapo di alcune modelle riproduceva le orecchie del coniglio forse in omaggio alla ridente cocotterie delle grandi muse della moda francese anni ’90 di Lacroix e Lagerfeld. Quattro anni dopo il coniglio riapparve: sotto forma di borsa di pelle nella FW13 di Raeburn ma soprattutto nella straordinaria FW13 di Undercover per cui Jun Takahashi, dopo una pausa di due anni dalle passerelle, mescolò i vibe di Vivienne Westwood, di Donnie Darko e di Eyes Wide Shut mettendo indosso a quasi tutte le modelle delle stranianti maschere da coniglio (altre maschere erano da gatto) che parevano attingere all’immaginario stregonesco connesso ai conigli, legati al mondo della magia nera a causa delle proprie pratiche riproduttive, dei loro legami con la dea celtica Eostre (nome dal quale derivò l’inglese Easter) e con le divinità lunari del paganesimo. Anni più tardi, Takahashi avrebbe inserito nuovamente un coniglio tra i simboli feudali presenti su alcune giacche di pelle nel suo show FW20 ispirato a Il Trono di Sangue di Akira Kurosawa. Sempre nel 2013 le orecchie del coniglio riapparvero nello show di Comme des Garçons Homme Plus – collezione che insisteva molto sui motivi geometrici, il mix-and-match di stampe e proporizioni fino alle ultime ramificazioni del kitsch. Anche qui insieme alle orecchie di coniglio apparvero le orecchie di Mickey Mouse. Altre orecchie da coniglio, simili a quelle rese celebri da Playboy, apparvero come maliziosa citazione sulla passerella SS14 di Moschino che tornarono anche la stagione successiva, questa volta opera del leggendario Stephen Jones, sulla passerella di Thom Browne, che incentrò la sua collezione FW14 sul tema della caccia popolando la passerella di animali di ogni genere.
Dopo una serie di altre apparizioni che inclusero Olympia Le-Tan e Coach, il coniglio approdò prima nella FW15 di AF Vandevorst, sempre sotto forma di cappello firmato da Stephen Jones, e poi, in maniera più eclatante, nella collezione FW16 di Prada in cui maglioni e abiti femminili erano tappezzati dall’immagine di un coniglio che, in questo caso, parevano richiamare una sorta di post-moderno infantilismo, corteggiando il mondo dell’atletica, dell’activewear che si schianta contro il formalwear. L’anno successivo fu Rick Owens che mandò diverse modelle con copricapi simili a delle orecchie di coniglio in passerella per la collezione FW17, Glitter, creata con in mente l’idea della cerimonia e del rituale e decisamente denotata da un vibe pagano o esoterico. Il designer americano, in ogni caso, frequentava il simbolo già da anni: uno dei suoi long seller permanenti è una borsa a forma di coniglio introdotta prima nella FW08 come Mink Fur Bag e poi reiterata dalla FW10 in avanti nella linea HUNRICKOWENS. La stagione successiva fu Alessandro Michele, per la SS18 di Gucci, una delle sue collezioni più celebri, a riportare i conigli in passerella in due versioni: la prima è Bug Bunny, e dunque un riferimento alla cultura pop che il designer remixava allegramente insieme a design vintage e ultramoderni; la seconda il ricamo di un coniglio che, insieme a simili rappresentazioni di animali come serpenti, tigri alate e agnelli, evocavano quella zoologia mistica da cattedrale romanica che Michele prediligeva. Il luglio successivo, durante la Couture Week di Parigi, Bertrand Guyon, allora designer di Schiapparelli, portò allo show del brand maschere dorate da coniglio e abiti di raso dalle lunghe orecchie – un omaggio ai look stravaganti che la founder indossava per le proprie soirées parigine.
Negli anni successivi sia Moschino che Thom Browne riportarono i conigli in passerella, ma fu Stella McCartney a rimanere memorabile quando utilizzò diverse mascotte a tema animale mescolate ai look del proprio show per chiedere agli ospiti dello show di piantare un albero per il bene del pianeta. Onestamente, questa fu decisamente l’apparizione più strana di un coniglio in passerella, forse perché i costumi da mascotte stridevano leggermente con il resto dei look e non si mescolavano alla perfezione col resto dello show che, invece, era abbastanza sostenuto data anche la location, l’Opera Garnier di Parigi. L’anno dopo, in piena pandemia, il coniglio tornò sotto forma di accessorio nella collezione FW22 di Juun.J e poi, grandiosamente, nella collezione Artisanal di Maison Margiela, firmata John Galliano, dove due conigli apparvero: uno simbolico dell’innocenza, del tutto in bianco, e un altro dall’aspetto più tormentato e demoniaco – curiosamente, secondo i santi medievali, il coniglio che cambia il pelo da rosso a bianco è simbolo della doppia natura dell’amore, carnale e divino, e anche della duplice natura umana e divina di Cristo.
E qui siamo arrivati alle stagioni più recenti: Egonlab, S.S. Daley e Ambush utilizzarono l’iconografia del coniglio per le loro collezioni SS23, il primo sotto forma di elemento pop e con un riferimento al Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie; il secondo invece usò il coniglio nella sua accezione di simbolo dell’amore, pescando il riferimento dall’epistolario di Vita Sackville West e Violet Trefusis, due scrittrici lesbiche dell’Inghilterra edoardiana che, nelle proprie lettere, usavano la parola “rabbit” per parlare del proprio amore. I conigli di Ambush, invece, erano un riferimento alla cultura rave e alla moderna mania per avatar e ai videogiochi nostalgici degli anni ’90. Infine, lo scorso gennaio, fu Masayuki Ino di Doublet a far aprire il proprio show da un modello vestito da coniglio rosa – una mescolanza di mondo umano e animale che voleva rappresentare il concetto di diversity, dato che tutti gli animali (c’era anche un costume da orca, da lupo, da panda) vivono in armonia nella natura.