La couture delle fiabe di Tomo Koizumi
Il designer giapponese debutta alla MFW grazie a Dolce&Gabbana
26 Febbraio 2023
Martina Amoruso
Volumi vaporosi, nuvole di ruches, un sapiente uso dei colori: è il segreto del successo di Tomo Koizumi, il designer giapponese che ha visto crescere il suo seguito in modo esponenziale, tanto che nell’arco di pochi mesi è passato dal presentare le sue creazioni dalla scuola Coconogacco di Tokyo alla New York Fashion Week nello store di Marc Jacobs. «Per me la bellezza è armonia» ci ha raccontato lo stilista quando lo abbiamo incontrato negli storici uffici di Dolce&Gabbana in Via Goldoni, intento a cucire gli ultimi dettagli della sua nuova collezione. Proprio grazie al mecenatismo dei due designer la couture fiabesca di Koizumi approda per la prima volta in Italia, sulla scia di un progetto di collaborazione e supporto che nelle edizioni passate aveva avuto come protagonisti Miss Sohee e l'enfant prodige della moda inglese Matty Bovan. «Quando mi hanno proposto questa iniziativa ho detto subito di sì, è una grande opportunità, sfilare con un simile supporto a Milano, una delle più importanti capitali della moda.»
Apparentemente sono due realtà distanti, il romanticismo nipponico di Koizumi e la sexiness tutta italiana di Dolce&Gabbana, eppure un fronte comune verso le scelte decise, le stampe eccentriche e gli accostamenti audaci si materializza in abiti con balze a stampa maiolica, corsetti e decolleté. L’estetica di Koizumi è immediatamente riconoscibile grazie all’uso costante di ruches cucite insieme per creare delle vere e proprie sculture indossabili, capi eterei e imponenti, sia in chiave monocromatica e brillante sia attraverso scale cromatiche, un retaggio dei suoi studi d’arte. «Mi ispiro molto agli anni '40, '50, '60 e alla couture di Cristobal Balenciaga, ma anche agli anni '90 e 2000, come i modelli d'archivio di Dolce&Gabbana. Poi mescolo ispirazioni differenti con elementi della cultura tradizionale giapponese, come il kabuki, il kimono, i tradizionali abiti degli imperatori». Le sue radici giapponesi permeano e rendono coeso un vasto bagaglio di suggestioni specie nella scelta della nuance: «Per questa collezione ho scelto molti colori tradizionalmente usati nei kimono giapponesi, ho preso ispirazione da un vecchio libro. Quando creo un abito, voglio che risulti accattivante ma che sia comunque equilibrato, perché si può usare un colore molto acceso, ma ci si può anche associare ad un colore poco saturo e creare un equilibrio, in questo si può vedere l'influenza della cultura giapponese.»
Il volume esagerato degli abiti si ottiene dispiegando scampoli di tessuti e assemblandoli insieme, mettendo il tutto sottovuoto all’occorenza per trasportare chilometri di stoffa in un comodo piccolo sacchetto, aprendo poi le ruches con l’utilizzo del vapore: «poliestere, quello giapponese, perché il tessuto sintetico giapponese è davvero di buona qualità e ha anche più di 190 colorazioni.» Il risultato è una couture d’altri tempi, abiti teatrali che si arricchiscono di nastri e corsetti in un tripudio di stoffa, un universo parallelo che ricorda la tana del Bianconiglio in Alice nel paese delle meraviglie, quasi un sogno lucido. «Mi piace molto lavorare manualmente, è come fare arte, come una scultura. Credo che sia per questo che i miei capi hanno un aspetto diverso dagli altri. Sogno abiti dal volume sempre più ampio.»