Il caro prezzo del colonialismo dei rifiuti tessili
L'iniziativa di The Or Foundation e Vestiaire Collective per ridurre l'impatto ambientale della moda
16 Febbraio 2023
Secondo i dati riportati da BOF, circa 15 milioni di abiti usati vengono spediti in Ghana ogni settimana, scarti indesiderati provenienti in gran parte dagli armadi dei consumatori nordamericani, cinesi ed europei. La maggior parte dei capi vengono venduti in stock ai rivenditori del mercato Kantamanto di Accra, in Ghana, un fiorente centro di rivendita, riparazione e riciclaggio di abbigliamento di seconda mano, tra i più grandi al mondo. Ma il volume di vecchi abiti inviati dai mercati globali continua a crescere, mentre la loro qualità sta peggiorando, tanto che circa il 40% viene direttamente gettato, facendo precipitare nei debiti i rivenditori locali. L’abbigliamento occidentale ha riempito le discariche di Accra fino a farle traboccare quanto il deserto di Atacama in Cile: alcuni tratti di spiaggia sono ricoperti da cumuli di tessuti e plastica che superano il metro e mezzo di altezza. L'organizzazione no-profit The Or Foundation e Vestiaire Collective stanno pertanto facendo pressione per ottenere una regolamentazione che risolva una controversia di lunga data, chi debba pagare il conto dei danni ambientali, in gran parte causati dal comportamento dei consumatori dei Paesi più ricchi, ma che ricadono sulle nazioni più povere, in quello che si è rivelato un vero e proprio colonialismo dei rifiuti tessili.
Sebbene il problema dei rifiuti tessili abbia attirato l'attenzione delle autorità di regolamentazione, l'assetto dei cosiddetti schemi di responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility, EPR) è ancora in gran parte da definire. La Francia, l'unico Paese al mondo ad avere attualmente un programma EPR per i prodotti tessili, ha esportato l'80% degli abiti raccolti nel 2021, mentre Refashion, l'organizzazione no-profit che supervisiona il programma francese, ha versato 23 milioni di euro alle strutture di smistamento per trattare gli indumenti dismessi, ma nessuna somma è stata destinata ai Paesi in cui gli abiti sono finiti. Durante il vertice sul clima COP27 delle Nazioni Unite, tenutosi a novembre, è stato sancito un accordo dell'ultima ora per la creazione di un fondo "per le perdite e i danni" che aiuti a coprire i costi dei disastri climatici, ma le modalità di finanziamento e di strutturazione sono rimaste piuttosto vaghe.
Per porre rimedio a questa mancata chiarezza, la Fondazione Or ha pubblicato una proposta sostenuta dalla piattaforma di rivendita di lusso Vestiaire Collective per la creazione di politiche EPR di responsabilità globale che incentivino una riduzione significativa della produzione di nuovi capi di abbigliamento. Secondo la Fondazione i marchi dovrebbero pagare una tassa di almeno 0,50 dollari per ogni nuovo capo prodotto per coprire efficacemente i costi della gestione dei rifiuti, tassa che può aumentare fino a 2,50 dollari per gli abiti più difficili da smaltire, contro gli attuali 0,14 euro massimi previsti dal sistema francese. Il programma prevede inoltre che i fondi siano distribuiti in linea con il flusso dei rifiuti nel mondo, mentre i brand dovrebbero pubblicare informazioni dettagliate su quanto producono, con l'obiettivo di ridurre la quantità di nuovi abiti prodotti del 40% entro cinque anni dall'entrata in vigore di qualsiasi programma EPR. «È giunto il momento di riunirci e di dire che un'altra strada è possibile» ha dichiarato Dounia Wone, responsabile della sostenibilità e dell'inclusione di Vestiaire Collective.