E se il vero lusso fosse l’alternativa al lusso?
Come Diesel sta scardinando la narrativa della moda tradizionale
14 Febbraio 2023
Oggi è stato pubblicato il report annuale del gruppo OTB, a cui fanno capo svariati brand tra cui Marni, Jil Sander, Maison Margiela e Diesel. I risultati per il 2022 sono positivi: un fatturato di 1.743 milioni di euro e dunque del 14% più alto rispetto al 2021, 73 nuovi store aperti, vendite in aumento del 12% e un comparto luxury in crescita del 32%. Leggendo il report c’è una questione di nomenclature che salta all’occhio: se infatti Marni, Jil Sander e Maison Margiela risultano fare parte del comparto luxury del gruppo, Diesel viene menzionato come «alternative to luxury». La decisione di definire il brand diretto da Glenn Martens come alternativo al lusso si riflette nella storia e anche nel posizionamento del brand, che ha sempre avuto un prezzo moderato rispetto alle offerte dei mega-brand e anche un target relativamente giovane. Senza dire quanto effettivamente il brand sia cresciuto nel corso dell’anno, il report parla di un «percorso di riposizionamento» e di una «fase evolutiva» in cui il brand si trova. Il che ha molto senso considerato come dall’arrivo di Martens il brand si stia costruendo un’identità nuova, specialmente dal punto di vista visivo, ma dà da pensare se si considera che, proprio dall’inizio di questo percorso, il brand si è effettivamente comportato come un brand di lusso pur essendo tecnicamente solo un’alternativa a esso. Sfilate amatissime alla Milan Fashion Week, numerosi red carpet (l’ultimo è stato quello dei BRIT Awards), altrettanto numerose apparizioni in editoriali di alto profilo – funzionalmente parlando, il brand è alla stessa stregua degli altri nomi del lusso, ma se sul piano teorico è “alternative to luxury” si potrebbe dire che sta inventando una nuova categoria di mercato?
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Nella moda, sul piano dell’ottica esterna, vale sempre il famoso duck test, l’esercizio logico di abduzione riassunto nel proverbio americano «If it looks like a duck, swims like a duck, and quacks like a duck, then it probably is a duck». Spesso però la verità delle cose è un po’ più variegata di così: ci sono brand autoproclamatisi di lusso che in realtà sopravvivono vendendo solo un paio di borse o una scarpa; ce ne sono altri che vengono indossati dalle élite ma senza che per branding o qualità possano rientrare nella categoria del lusso; altri ancora invece sono lontanissimi dal definirsi di lusso ma per artigianalità e qualità dei materiali (e in certi casi anche per partner di distribuzione) sono superiori ad altri e ben più blasonati marchi. In definitiva ciò che conta è la percezione del mercato: se sembra un brand di lusso, allora lo è. E proprio per questo il caso di Diesel è interessante. Se infatti i brand di lusso più tradizionali ricordano ancora con una certa paura (presumiamo) il periodo in cui le linee di diffusione anni ’90 e dei primi 2000 avevano diluito quasi a morte i loro preziosi loghi, Diesel incluso, proprio il nuovo corso del brand sembra volere sovvertire quell’equazione di “grande diffusione = grandi profitti = grande involgarimento”. La canottiera con logo metallico prodotta dal brand, così come le sue borse e cinture, è una presenza fissa tra i fashion lovers di giovane e giovanissima età – ma sembra anche godere di una legittimità che altri brand di cui non faremo il nome non hanno a dispetto di grandi risultati commerciali.
"Denim is definitely the heart of Diesel. On top of that, I think it has more and stronger complexity. Just as sometimes we go through countless attempts to achieve its unexplored complexity." — Glenn Martens, Diesel’s Creative Director, is profiled in the WSJ Magazine China. pic.twitter.com/DmKcIKBTlf
— Diesel (@DIESEL) August 7, 2022
Sicuramente questo tipo di nuovo posizionamento, che non è high street né entry-level luxury, pur assomigliandogli molto, è frutto anche di una strategia assai complessa che passa per innovazione digitale e comunicazione efficace. Da quello che però noi, esternamente, possiamo valutare, il posizionamento di “alternative to luxury” sembrerebbe basarsi su una distribuzione attenta del pricing attraverso diverse categorie di prodotti. In altre parole si possono comprare prodotti-base a prezzi leggermente più alti dell’high street ma comunque accessibili per una clientela molto giovane, ma si possono comprare anche prodotti di gamma più alta, come i completi in pelle o i denim con lavorazioni particolari, pagando prezzi sicuramente più vicini al lusso ma comunque più controllati di quelli del lusso tradizionale, gonfiati al limite dall’inflazione. Diesel è riuscito, in maniera abbastanza astuta, a trovarsi a proprio agio tanto presso liceali, universitari e giovanissimi; che tra i partecipanti di fashion week e star del red carpet. In maniera anche più efficiente, viene da dire, dei suoi compagni di scuderia che invece fanno parte del lusso più conclamato. Che il futuro del lusso si trovi nelle alternative ad esso? Il riposizionamento di Diesel sarà sicuramente un primo indicatore di questa tendenza.