La quieta grandiosità di Saint Laurent
Anthony Vaccarello, vestimi l’anima
18 Gennaio 2023
Sono anni che Anthony Vaccarello lavora per portare il suo Saint Laurent verso una nuova direzione. Il suo è un lavoro di fino: se anni fa fu Hedi Slimane a stabilire una volta per tutte l’estetica rock-chic e notturna del brand, cambiandone anche il nome, dal momento del suo arrivo il designer italo-belga ha voluto riportarne l’immaginario su territori più sublimi, ripulendo progressivamente la produzione del brand e trasportando quella stessa estetica notturna dai concerti bohémien dell’underground losangelino alle serate di gala, per così dire. I primi risultati di questo riorientamento di Saint Laurent si sono avuti con il womanswear, categoria per cui Vaccarello ha stabilito nelle ultime stagioni un preciso ed elevato linguaggio più fedele alla visione originaria del grande Yves, e, dopo una serie di spettacolari show menswear ambientati in Marocco e a Venezia, ieri sera un nuovo linguaggio è stato stabilito in maniera netta e definitiva anche per il guardaroba maschile. Sotto la monumentale cupola affrescata della Bourse de Commerce di Parigi, e con il suggestivo accompagnamento pianistico di Paul Prier, ha sfilato una collezione che è stata un capolavoro di equilibrio e misura, lontana dalle suggestioni subculturali della cultura giovanile e in cerca di una perfezione formale che, con tutta la sua universalità, rimane comunque dotata di una voce e di una identificabilità totale e immediata.
Il principio alla base della collezione è stato quello di portare alle stesse velocità il womanswear e il menswear del brand, facendone due facce della medesima medaglia, senza però nulla concedere alla stravaganza e al desiderio di scioccare. I giganteschi fiocchi che decoravano le camicie bianche erano un rimando al Saint Laurent di Alber Elbaz, specialmente quello della collezione FW99, ma anche alle ultime collezioni couture anni ’90 firmate da Yves prima del suo congedo dalle scene. C’erano richiami al languore di Tom Ford e al formalismo di Pilati (specialmente alla collezione menswear FW12) , ma senza l’erotismo del primo e la muscolarità dell’altro. Il lavoro di Vaccarello è stato di attenuare, ridurre, concentrare l’essenza della collezione in un archetipo, una silhouette dipinta senza sbavature. Ciò che si ricercava, qui, era la purezza assoluta, l'esecuzione tersa e cristallina e un tipo di esattezza troppo romantica per essere definita matematica, ma anche troppo calcolato per essere definita emotiva. In tutto ciò mancavano totalmente, come dicevamo, concessioni ai trend e allo shock fine a se stesso – l’eccentricità era al massimo riservata ai maglioni e alle camicie da sera che diventano come lunghe tuniche, comunque indossate con un paio di pantaloni sartoriali e lucide scarpe nere. Ciò che Vaccarello ha fornito al pubblico, in breve, è la definizione stessa di “senza tempo” dato che questi abiti, pur rimanendo fermamente contemporanei con la loro fluida vocazione alla genderlessness, potrebbero appartenere a qualunque epoca e rappresentano un ulteriore e sicuro passo verso una nuova definizione di classicità e tradizione.
Lo show di ieri, infine, ha solidificato l’immaginario e il capitale culturale di Saint Laurent – brand che di recente, e forse meglio dei suoi pari, ha fatto diventare la cultura uno dei suoi principali cavalli di battaglia, costruendo una “famiglia allargata” di grandi attrici francesi, dalla Deneuve a Beatrice Dalle fino a Charlotte Gainsbourg che ieri sera ha anche suonato il pianoforte per il finale dello show in uno dei classici smoking androgini del brand; ma anche coinvolgendo nelle sue campagne e nelle sue iniziative cinematografiche grandi registi contemporanei come Pedro Almodovar, Abel Ferrara, Jim Jarmusch e David Cronenberg. Anche gli show del brand sono lontani dalle tradizionali passerelle ed evocano sempre una quieta grandiosità, uno scenografico e tutto francese amore del monumentale che situa cappotti e giacche in una dimensione quasi olimpica. Il genere di coolness che Vaccarello persegue, in effetti, non è legato a età o fisicità specifiche, ma legato solo a luoghi (Parigi e il Marocco specialmente) e solo a un tipo di elevazione e prestigio culturale che rappresenta l’elevazione del design stesso, il valore intrinseco al nome stesso di Saint Laurent.