5 cose per cui ricorderemo Vivienne Westwood
Dall’evoluzione di World’s End all’attivismo politico e sociale
30 Dicembre 2022
«Vivienne ha continuato a fare le cose che amava, fino all'ultimo momento, disegnando, lavorando alla sua arte, scrivendo il suo libro e cambiando il mondo in meglio. Ha condotto una vita straordinaria. La sua innovazione e il suo impatto negli ultimi 60 anni sono stati immensi e continueranno nel futuro. Vivienne si considerava una taoista» riporta il post Instagram pubblicato ieri per annunciare la scomparsa della designer britannica. Trovare degli aggettivi che non banalizzano la sua figura è complesso, perché complesso è stato il suo lavoro come creativa, intellettuale e ambientalista.
Scriveva le cose che le stavano più a cuore su t-shirt, per renderle graficamente universali: da God Save the Queen! a FUCK! passando per Buy Less, i suoi motti ci accompagneranno per molto tempo. Ricordiamo quali sono stati i momenti più decisivi della sua carriera, riassumendoli in cinque punti chiave.
Aveva un negozio
Quando nel 1971 apre Let it Rock, il suo primo negozio al 430 di King’s Road a Londra, ha trent’anni, e di lì a poco lo ribattezza Too fast to live too young to die, Sex, Seditionaries e infine con l’attuale, World’s End. Il motivo è l’affiliazione con i Sex Pistols e la relazione con il loro manager Malcom McLaren dopo la separazione dal marito Derek Westwood. Quel negozio passò dall’essere uno spazio piccolissimo a tempio sacro del movimento punk: giacche biker, slogan patriottici o dissacranti stampati su t-shirts, catene e accessori cult è stato tutto ciò di cui World’s End ha avuto bisogno per affermarsi sulla scena londinese e internazionale, esemplificando l’approccio della stilista alla moda.
È stata un’attivista
Oltre ad avere portato le bandiere in passerella, Vivienne ha lottato con manifesti e fatti: Climate Revolution, che dal 2012 continua ad arricchirsi di contenuti, non è altro che la somma delle esperienze di un attivismo che non si è fermato allo slogan di uno show e, passo dopo passo, si è rivolto alla politica, all’industria e alle masse. Non a caso il suo brand è stato tra i primi ad abbandonare la pelliccia e marciare insieme a Peta; allo stesso modo supporta Greenpeace e associazioni per la salvaguardia dei mari, la sua fondatrice in prima fila, in strada come in acqua. Dal 2010 si è unita alle forze all’International Trade Center, un organismo congiunto delle Nazioni Unite che lavora direttamente con gli artigiani delle comunità africane più povere, generando per loro un salario regolare e innescando un circolo virtuoso per impedire la deforestazione e il riciclo di materiali inquinanti. Nel 2017 ha poi avviato la campagna SWITCH to Green coinvolgendo il British Fashion Council e il sindaco di Londra con l’intento di chiedere all’industria della moda di passare a fornitori di energia pulita.
È stata sfacciatamente punk
Quando l’editore di WWD John Fairchild si trovava di fronte alle creazioni della stilista, ne parlava come dell’"Alice del Paese delle Meraviglie della moda". Ha portato in passerella pirati, streghe, artisti e il sesso, parlando della moda in una maniera così personale da «saccheggiare il mondo e il National Geographic combinando l’etnico allo storico». Il suo viaggiare controcorrente, risultando più contemporanea dei colleghi, le ha permesso di plasmare uno stile solo in parte sovrapponibile con la cultura punk. Vivienne passava dalle spalle arrotondate negli anni ’80 all’haute couture negli anni ‘90 fino all’essere multata per avere «pubblicamente esposto immagini indecenti» sulla t-shirt Naked Cowboys, con due uomini nudi dalla cinta in giù - atto risalente al 1975.
I premi e i riconoscimenti da parte della royal family
Gli anni ‘90 furono particolarmente significativi per Vivienne Westwood grazie ai riconoscimenti che ottenne per la sua carriera: nel 1991 è eletta British Designer of the Year. Soltanto due anni dopo, la regina Elisabetta in persona la nomina Officer of the Order of the British Empire per l’impegno mostrato nel campo dell’arte e della moda in Gran Bretagna. Insignita poi nel 2005 del titolo di Ufficiale dell’Impero Britannico, nel 2006 le viene conferito il titolo di Dama.
Ha disegnato il vestito da sposa di Carrie Bradshaw
Siamo nel 1993 quando Vivienne Westwood decide di abbinare tacchi vertiginosi a mini kilt e di far indossare il reggiseno sopra gli abiti. Il 1994 vede un cambio di scena: Café Society vuole abiti voluminosi con strascichi, senza spalline, in taffetà o in seta. L’ispirazione è settecentesca ed è la stessa che ritroveremo nell’abito da sposa che Vivienne disegna appositamente per la protagonista del film di Sex & The City nel 2008. Scenico e pomposo, l’abito indossato da Carrie Bradshaw diventa così virale che il colosso dello shopping di lusso Net-a-porter ne propone una versione più corta, sold-out in poche ore.