Quando la moda è di vetro
Il vetro come strumento narrativo e creativo di alcuni dei designer più celebri
28 Dicembre 2022
Delimitare il raggio d’azione della moda non è assolutamente facile e, forse, neanche possibile. Le sperimentazioni che si sono succedute nel corso dei decenni sono state innumerevoli, spesso ardite e hanno coinvolto una miriade infinita di tessuti, tecniche innovative, manipolazioni varie, insieme alla combinazione sempre più azzardata di tutti gli elementi finora elencati. Tra i materiali più complessi che i designer hanno approcciato c’è sicuramente il vetro, sia scelto nella sua effettiva essenza, quale silicio vero e proprio, ma anche in tutte le sue trasposizioni e reinterpretazioni per mezzo di effetti ottici, giochi di texture e similitudini concettuali. Si potrebbe quindi parlare, per riferirsi a questa tendenza che si è rincorsa a fasi alterne nella storia recente, di cosiddetta “glass fashion”.
Partire dal designer turco-cipriota Hussein Chalayan è quasi doveroso, quando si parla della capacità di adattare elementi completamente esterni all’idea canonica di moda e di quello che può ipoteticamente concernere questo ambito, essendo uno di quei creativi che è riuscito a portare la sperimentazione a livelli particolarmente estremi, spesso costellati da spettacolari colpi di scena durante le sue sfilate “show”. La collezione “Ventriloquy” SS01, nella quale Chalayan affronta il tema della caducità degli abiti e della loro relazione con il tempo – uno dei principali leitmotiv del suo lavoro – si chiude con una serie di look composti da gonne ampie in una resina effetto vetro che alcune modelle dotate di piccoli martelli procedono a infrangere davanti agli stupefatti spettatori. L’idea del vetro viene anche interpretata dal designer amante degli effetti speciali, in modo del tutto differente, nella collezione SS07 con un abito realizzato con sole sfere trasparenti, reso anche celebre da una performance di Lady Gaga risalente al 2009. Questo secondo approccio, realistico nel risultato finale, ma più distante da un punto di vista materico, ricorda il lavoro di Pierre Cardin che con la sua moda Space Age, sebbene con esiti totalmente differenti, giocava molto nel ricreare oblò e volumi da navicelle spaziali, utilizzando elementi in PVC, contestualizzati poi nelle sue creazioni di brillante fattura, così come nei suoi indimenticabili occhiali. Di un tenore decisamente differente sono invece le manipolazioni presentate da Prada con i look di chiusura della collezione SS10 che, in una riedizione moderna e sofisticatissima di abiti anni Venti, scintillano grazie a delle gocce di cristallo che li compongono interamente, quasi ad avvolgere le modelle in delle cotte ottenute da antichi lampadari.
E per l’appunto un lampadario diventa un abito, senza trasposizioni concettuali, ma letteralmente con tutta la sua imponente struttura, nella collezione FW16 di Moschino, proposta da Jeremy Scott in uno scenario post-party scatenato, tra abiti fumanti – anche in questo caso letteralmente – e ridotti a brandelli, con quel glamour ironico e capace di ridere di se stesso, tipico del designer americano. Citando i designer che fanno del ready-made, così come dell’ironia, il proprio marchio di fabbrica, non si può non nominare Martin Margiela che nel 2009 lancia un’edizione limitata di un paio di décolleté in vero vetro, quindi chiaramente non indossabili, ma per questo incredibilmente in linea con il suo approccio dadaista. La tendenza al recupero del fondatore del brand votato al bianco assoluto è stata anche ripresa dal suo successore, John Galliano che nella collezione ready to wear SS16 realizza alcuni look con un mosaico di piccoli frammenti irregolari di vetro, celebrando così il suo amore per il passato, seppur in modo decisamente più “margieliano”. I frammenti di vetro tirati a lucido in una composizione perfettamente riflettente e senza tracce di passato caratterizzano anche alcune uscite della collezione SS16 di Loewe, firmata da Jonathan Anderson, quasi a riprova di un focus coordinato e contemporaneo sul tema con il collega Galliano. Ma Anderson ha riproposto il concetto di “glass fashion”, in una chiave totalmente diversa, sia nella SS22 in cui dei bustini dalle sembianze anatomiche si incastonano in top e abiti dalle maniche voluminose e ariose, ma anche nella collezione successiva, la FW22, in cui una t-shirt sembra essere uscita dalle vetrerie di Murano, trasformando il designer britannico in una sorta di scultore, come sempre raffinatissimo, oltre che capace di concretizzare in modo eccellente le sue idee innovative.
A chiusura di questo resoconto sulla moda che interpreta il vetro ci sono le proposte della designer belga Iris van Herpen che con risultati simili ad Anderson, ma con una tendenza molto più pronunciata verso la sperimentazione scientifica, propone delle strutture che cristallizzano enormi schizzi d’acqua in una sospensione temporale, sia nella SS11 ready-to-wear che nella successiva collezione couture. Qualche anno più tardi la sua “glass fashion” si traduce in impalcature geometriche e architettoniche che ricordano moderne cupole trasparenti con la collezione FW16 ready-to-wear, dimostrando come uno stesso concept possa essere declinato in infinite combinazioni, anche dalla stessa mente creativa.