I 5 fashion moments più importanti del 2022
Dal divorzio tra Alessandro Michele e Gucci al ritorno sulle scene di Linda Evangelista
30 Dicembre 2022
Dopo il 2020 e il 2021, potrebbe sembrare precipitoso se non esagerato definire il 2022 come “ricco di eventi”. Non di meno, a fronte di un’annata in cui l’industria si è ritrovata più ad affrontare problemi che a produrre capolavori, i dodici mesi che si concluderanno tra qualche giorno hanno riservato grandi sorprese. «In cauda venenum» dicevano gli antichi, il veleno è nella coda, e avevano ragione: dopo un primo semestre poco ragguardevole, la seconda metà del 2022 ha fatto fuoco e fiamme preparando il terreno a un 2023 che, pare, rappresenterà a sua volta un avvicinamento al reset dell’intero sistema.
E dunque, senza ulteriori indugi, ecco quali sono stati i 5 fashion moments più importanti del 2022.
1. Alessandro Michele esce da Gucci
La terra ha tremato all’annuncio. La notizia, accolta da alcuni con sollievo e da altri come la catastrofe definitiva, ha segnato la fine di un’epoca – piaccia o meno, il lavoro di Michele ha restituito al mondo l’amore per il vintage, ha anticipato la fascinazione per «le buone cose di pessimo gusto» di cui parlava Gozzano, oltre che il gusto per i monogram e gli styling strabordanti e ha sostanzialmente forgiato il concetto di wokeness nella moda. Certo, quelle show notes che pretendevano di dare alle collezioni un senso sempre più magnifico di quello che avevano sapevano di fumo e di specchi, e, certo, quel mondo ossessivo, iper-saturo, così accartocciato su stesso aveva stancato ormai – non di meno Michele ha lasciato sulla moda nei suoi sette anni un segno molto più profondo di quanto Frida Giannini ne abbia lasciato in dieci. Con la sua tenure tramonta l’ultimo barlume dell’estetica hipster che aveva incantato geek e sognatori romantici di mezzo mondo già nei primi anni ’10 ma ci viene anche ricordata la difficile lezione che si può esagerare anche con qualcosa di buono.
2. Raf Simons chiude il suo brand
Icona dei circoli della moda intellettuale prima, e poi divenuto icona totale grazie all’endorsement dei rapper fashionisti degli anni ’10, il brand Raf Simons era ormai una creatura tanto venerabile quanto stanca. L’intera idea alla base del brand era incanalare concettualmente il rancore della gioventù tradita di fine ‘900, dei disillusi e dei raver, monumentalizzando la loro insouciance, elevando il concetto di ribellione adolescenziale sul piano del misticismo, quasi. Difficile cosa da fare quando il direttore creativo del brand non solo è un attempato signore, ma è anche diventato un’istituzione dell’industria mainstream. Non di meno, la chiusura del suo brand ha segnato la fine di un’epoca e, dato che questa chiusura implica anche il prossimo pensionamento di Miuccia Prada, la decisione di Raf Simons ha avuto quest’anno tutta l’aria di un importante segno dei tempi.
3. Bella Hadid e il finale di Coperni
Era dai tempi di Lagerfeld e McQueen che non succedeva: un singolo, preciso momento che faceva fermare tutti, adepti e profani della moda insieme. Che il momento in sé avesse scarsa connessione con il resto dello show e che la tecnologia messa in mostra non fosse completamente rivoluzionaria è stato già detto ma rimane comunque poco rilevante davanti al puro valore dello spettacolo che la vista di Bella Hadid vestita “in diretta” ci ha dato. Più e oltre che per il brand, questo momento ha consolidato lo status di Bella Hadid come nuova, vera top model allo stesso livello di leggende come Kate Moss o Naomi Campbell – certo, serviranno anni di onorata carriera per godere dello stesso prestigio delle due top model appena citate, eppure il finale di Coperni ci ha dimostrato che Bella Hadid ha la stoffa della vera stella.
4. Il debutto di Mathieu Blazy da Bottega Veneta
Daniel Lee aveva preso un brand che giaceva semi-dimenticato e ne aveva fatto una leggenda nel giro di una stagione. Da comatoso, Bottega Veneta era diventato un brand supremamente eccitante, l’araldo di una nuova estetica. Poi la delusione di Detroit, la rovinosa e misteriosa caduta di Lee tra i pettegolezzi più incresciosi, la nomina del secondo in comando Matthieu Blazy – designer rispettato ma sconosciuto ai più. Infine l’esordio: non era il Bottega Veneta di Daniel Lee ma era il Bottega Veneta di cui non sapevamo di avere bisogno. Nel giro di pochissimo, il quieto, umile e colto Blazy ha fatto sembrare quasi superficiale e materialistica la rivoluzione di Lee, facendo del brand la nave ammiraglia di una moda che sogguarda il mondo dell’intellettualità, dell’arte e dell’artigianato più puro.
5. Linda Evangelista torna sulle scene
Lo show di Fendi può piacere o non piacere. Sarebbe difficile però non provare contentezza per Linda Evangelista che, dopo un incidente medico che le ha alterato il volto, è tornata sia sulle passerelle che sulla copertina di Vogue tra l’acclamazione del pubblico. E anche se la storia di una top model che finisce vittima di un procedimento estetico non pare così commovente, da quando Evangelista era tornata a rivelarsi al pubblico parlando dell’incidente, proprio lei aveva rappresentato la maniera in cui noi tutti ci sentiamo imperfetti o inadeguati ripensando a com’eravamo in passato. Nell’anno in cui siamo tutti usciti un po’ ammaccati e distorti dal biennio della pandemia, la storia di questa vittima del caso che ritrova lo splendore del passato per scoprire che la sua bellezza e la sua importanza non se ne erano mai andate ha toccato tutti.