5 cose per cui ricorderemo il Gucci di Alessandro Michele
Tra massimalismo, liberazione dei corpi e citazioni
24 Novembre 2022
Quando, nel 2015, Marco Bizzarri ha nominato Alessandro Michele direttore creativo di Gucci era sembrata la scelta interna - Michele era già capo accessori da Gucci - più naturale per il brand. La prima collezione di debutto del designer era in realtà una reinterpretazione lampo - 5 giorni per riorganizzare ogni singolo dettaglio dello show - del testamento creativo di Frida Giannini. Eppure, le note stampa lasciavano già presagire che un cambiamento fosse ben radicato nell’aria: anticonformista, romantico, intellettuale si leggeva fra le righe. E di quel Gucci, in effetti, ne abbiamo visto infinite declinazioni.
Una formazione da designer e costumista maturata presso l’Accademia di Costume & Moda di Roma, un’esperienza nel campo degli accessori acquisita da Fendi e una carriera da Gucci iniziata nel 2002 sono stati gli elementi chiave del suo percorso professionale. Il Gucci che Alessandro Michele si preparava a rimodellare era soprattutto stanco e privo di una visione comunicativa d’impatto. C’erano stati gli intrighi di una famiglia complessa e (dis)unita, la sensualità spinta di Tom Ford e il glamour più taciturno di Frida Giannini a definire l’immaginario estetico del brand. In questo magma indefinito Alessandro Michele è stato chiamato a dire la sua sul monogram GG, con l’aggravante di dovere dare una nuova direzione a Gucci.
La risposta è stata più che positiva: non c’è stato magazine, celebrity o persona esterna ai meccanismi della moda che non fosse a conoscenza dell’hype creato intorno al brand. Per una ciclicità interna ai prodotti umani in generale, probabilmente, era prevedibile che prima o poi che persino una visione creativa apparentemente inscalfibile sorretta, peraltro, da fatturati altrettanto eclatanti sarebbe andata incontro a una naturale crisi. Crisi su cui il gruppo Kering ha deciso di intervenire nella maniera più immediata e rapida possibile: la sostituzione. Ma riavvolgendo il nastro di una direzione creativa in cui i confini della moda (e non) sono stati scomposti e ridefiniti senza sosta, abbiamo provato a individuare cinque elementi chiave del manifesto poetico di Alessandro Michele.
La moda genderless
Negli anni in cui spopolava l’estetica metrosexual, Alessandro Michele ha intercettato la potenza sovversiva associata al genere: i suoi abiti e i suoi styling hanno usato il corpo come ipertesto narrativo e descrittivo per liberarlo da forme di stereotipi secolari. Emblematica, in questo caso, la collezione FW20 in cui le uniformi scolastiche e il kidswear hanno funzionato da pretesto per parlare di mascolinità tossica, patriarcato e teoria queer. La moda, nell’accezione personale di Michele, può e deve superare il binarismo di genere per offrire una dimensione che tenga conto di uno spettro umano complesso e altamente variegato. Quasi tutte le sue collezioni, neanche a dirlo, hanno messo in discussione la categorica separazione tra maschile e femminile.
Gli show teatrali
Più che un designer, Alessandro Michele si è sempre definito un archeologo della moda. La sua passione per il costume, il teatro e l’arte ha trovato negli show per Gucci un’estensione fisica e narrativa del sui processo creativo. Basti ricordare l’apertura della collezione SS20 dove i modelli, in camicie di forza bianche, camminavano come se anestetizzati su un tapis roulant. La riflessione con la quale Alessandro Michele è partito per comporre questa collezione arriva direttamente da Sorvegliare e punire, il saggio in cui Michel Foucault ha analizzato il sistema di controllo attraverso il quale il potere trasforma tutto in Panopticon, l’occhio in grado di controllare il movimento di tutto e di tutti.
L’importanza del celebrity system
Un altro dei suoi meriti è quello di aver intuito che i brand, per poter risultare efficaci e aspirazionali, hanno bisogno di circondarsi di persone come casse di risonanze semantiche dei propri valori. Harry Styles, Billie Eilish, Jared Leto, Lana Del Rey o Florence Welch sono solo alcuni dei nomi a cui Alessandro Michele e Gucci si sono profondamente legati. La sua forza attrattiva, inoltre, ha permesso al brand di includere nel suo parterre di adepti rapper, attori e persino ricercatori accademici come Paul Preciado.
Il valore delle collaborazioni
A cavallo tra l’esplosione dello streetwear e il fenomeno delle collaborazioni, Alessandro Michele è stato forse il primo a mettere in discussione l’idea di autenticità e di valore hackerando - questo il termine diffuso dall'ufficio stampa del brand - i codici estetici di un altro marchio, Balenciaga, per festeggiare il centenario di Gucci. Senza dimenticare, ovviamente, le collaborazioni consumate nel mondo dello streetwear con The North Face o il recente esperimento con Palace.
La creazione di un microcosmo pop
A definire ancora di più l’operato di Alessandro Michele da Gucci è stata la capacità di creare spazi di riflessione comunitaria in grado di unire commerciabilità e visione creativa: Gucci Garden Galleria, il Museo di o Vault sono vere e proprie piattaforme estensive del progetto di Alessandro Michele e Marco Bizzarri. Ne è nato un microcosmo che, molto probabilmente, sarà sempre legato alla legacy del suo creatore - «che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà» ne è il sigillo finale condiviso ieri sull'account Instagram dell'ex direttore creativo di Gucci.