Come Valentino ha creato la sua uniforme "couture"
I colori e il monogram di Valentino
10 Novembre 2022
Valentino Garavani è passato alla storia della moda come uno degli ultimi imperatori del sistema. Mitizzato - il processo non ha investito soltanto la sua figura, ma è da inquadrare in un contesto storico e culturale che rendeva uno stilista a capo di una maison alla pari di un monarca più o meno illuminato - e promotore di un’idea di glamour atemporale colorato di un rosso imperiale che porta tuttora il suo stesso nome, il suo design ha segnato gran parte dell’immaginario dell’alta moda italiana e non.
Sigillo poetico o manifesto cromatico che sia, l’idea è che quella specifica tonalità servisse a rendere ancora più identificabile una maison di moda già affermata in Italia e all’estero. Nutrendosi della stessa linfa che, per secoli, ha plasmato l’iconografia degli imperatori romani, il rosso Valentino non aveva niente a che fare con l’idea di uniforme vestimentaria scaturita dalla grande rivoluzione del prêt-à-porter milanese. Valentino non aveva - e forse nemmeno avrebbe voluto - dimestichezza con i codici di un linguaggio più immediato, che man mano stava prendendo sempre più coscienza di un modo di concepire l’abbigliamento profondamente diverso. Nel momento in cui il fashion system si è trovato di fronte alla complessità del fenomeno dell’internazionalizzazione la direzione creativa di Valentino ha subito una serie di rimodellamenti: dopo l’addio di Valentino Garavani in persona nel 2007, Alessandra Facchinetti è stata la direttrice creativa del marchio per sole due collezioni. Lo stesso anno in cui Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, già inseriti dal 1999 nel dipartimento accessori della maison, diventano il duo tutelare del patrimonio (s)confinato in Piazza Mignanelli.
I due hanno collaborato per ben otto anni alle collezioni della Maison, trovandosi nella condizione di dover creare un ponte fra la couture e il prêt-à-porter senza tralasciare un presupposto imprescindibile: Valentino è nata e continuerà ad essere una maison de couture. Sotto la direzione creativa di Maria Grazia e Pierpaolo l’essenza di Valentino si amplifica e si frammenta aprendosi a label come Red Valentino, che sarà chiusa definitivamente nel 2024. «Siamo molto orgogliosi dei codici iconici del brand, ma viviamo nel nostro tempo. In dieci anni il mondo è cambiato radicalmente: i gusti cambiano in modo velocissimo, la comunicazione ancor di più. Se davvero vivi il tuo tempo, tutto ciò non puoi non sentirlo, e non puoi non assimilarlo e trasmetterlo in ciò che fai» aveva dichiarato Maria Grazia Chiuri a Vanity Fair Italia. Il 2016 arriva la vera e propria separazione: Maria Grazia Chiuri lascia Roma, investita del ruolo di direttrice creativa di Dior. Tutto l’heritage della maison romana, di conseguenza, passa nelle mani di Pierpaolo Piccioli. La sua direzione assoluta, eppure, ha trasformato i codici di stampo imperiale di Valentino in un progetto a sfondo umanistico e illuminato: svuotata della sua matrice divina, la maison ha costruito e sta costruendo una narrativa corale a più dimensioni in cui gli abiti corrono di pari passo con supporto dei talenti emergenti, The Narratives e celebrity culture. Processo che ha raggiunto una piena maturità proprio nel 2021, quando il brand ha presentato la PPP Collection: partendo dalla decostruzione del colore guida associato alla maison, Pierpaolo ha ideato un microcosmo monocromatico sotto forma di una tonalità di rosa sviluppata in partnership con Pantone.
Il pink di Valentino non è diventato soltanto il doppelgänger - seppur chiaramente distinguibile - della controparte rossa, ma si è affermato come un vero e proprio macro trend dell’industria. La viralità del progetto è diventata lampante nel momento in cui, sull’account Instagram della maison, è stato pubblicato uno scatto che ritrae una Place Vendôme sommersa da persone in full look PPP dopo lo show che ha visto la presentazione della collezione SS23. Collezione che, in un processo di riappropriazione e semplificazione estetica dell’ heritage del brand, ha trovato nel monogram l’espediente narrativo per dare vita a una nuova dimensione comunicativa. Lo spazio, infinito quanto restrittivo, diventa una tela bianca su cui Pierpaolo Piccioli ha costruito il suo racconto di ossessione e liberazione creativa. Il logo diventa un reticolo, un atto di poesia radicale che Steven Meisel ha tramutato in scatti potenti e atemporali, catturando i volti di Kristen McMenamy, immersa nella Valentino toile iconographe, Cas, ripreso con la borsa che diventa copricapo e le calze monogrammate, Alaato ritratto nella sua travolgente classicità statuaria e Sora Choi, avvolta di toile rosso Valentino. E poi la trasposizione in prodotto: su canvas neutre beige di abiti, borse e accessori, il pattern Valentino Toile Iconographe si tinge di rosso e di nero. Quello che sorprende (o forse no) è il fatto che Pierpaolo Piccioli sia stato in grado di rispettare i codici estetici del suo predecessore, presentando progetti creativi senza averne mai estremizzato i capisaldi. D’altronde che «la moda è moda, l’arte è arte. L’arte è quando fai qualcosa per te stesso, la moda è fatta per qualcun altro» sono sue parole. E le tinte e i monogram, in questo discorso, hanno sicuramente senso.