Perché i brand stanno uniformando i propri loghi
Semplificare può essere audace
07 Ottobre 2022
Quando nel 2012 Hedi Slimane era stato nominato direttore creativo di Saint Laurent aveva deciso di togliere il nominativo Yves dai cartelloni pubblicitari, campagne e abiti. Aveva volutamente alleggerito il carico del logo avviando un processo di semplificazione (inteso come passaggio e trasformazione e non come svilimento dell’heritage) che non era passato inosservato agli occhi di un pubblico affezionatissimo all’incrocio sinuoso della tre lettere alla base del nome del founder del marchio francese. In quegli anni, in effetti, l’internazionalizzazione della moda era un qualcosa di chiaro a tutti: il direttore creativo di un brand poteva non più coincidere strettamente con il suo fondatore, ma anzi essere nominato dal consiglio di amministrazione di una multinazionale alle prese con la globalizzazione e la necessità di creare uno storytelling sempre più coinvolgente. Recentemente Ferragamo ha annunciato via Instagram che avrebbe fatto a meno del suo font stilizzato in corsivo contenente il nome per esteso del suo storico fondatore: Salvatore Ferragamo d’ora in poi sarà Ferragamo. La scelta di ricorrere a una tinta rosso mattone in partnership con Pantone, non a caso, è andata a coincidere con la nomina del nuovo direttore creativo Maximilian Davis.
Il discorso rientra all’interno di uno scenario più complesso che sta provando a ridisegnare i contorni del branding: se colori accattivanti e immediatamente riconoscibili diventano il primo elemento di decodificazione di un logo, va da sé che il lettering finisce con l’obbedire a una logica di appiattimento generale che non intacca l’heritage di un brand. Soltanto un anno fa Balestra annunciava il suo ritorno sulle scene, presentando un nuovo font blu elettrico, chiaro segnale di indissolubile legame con l'heritage del brand. Se Valentino e Bottega Veneta hanno costruito un’intera narrativa sui colori del rosa e del verde e i loghi appaiono piuttosto uniformati, è proprio l’idea di immediatezza a spingere quello che internamente all'industria è stato definito blanding. Scenario in cui, peraltro, ci sono da aggiungere i nomi di Boss, il brand tedesco è passato dall’avere due marchi distinti e separati HUGO e BOSS, e di Zegna, ex Ermenegildo Zegna. Che si tratti di una vera e propria operazione di rebranding o del più radicale de-branding, la volontà di dare una nuova direzione creativa e manageriale - spesso la presentazione di un nuovo logo coincide con la nomina di una direzione creativa o con l’obiettivo di esplorare una nuova nicchia di mercato oppure per segnalare nuove iniziative - risponde all’esigenza di apportare hype e attirare su di sé istantaneamente i riflettori dei media, attivando conversazioni trasposte su più dimensioni online e offline.
Appurato dunque il fatto che le aziende sono molto più disposte a sperimentare con il loro marchio rispetto al passato, tutte le operazioni di branding sono diventate un modo sicuro per segnalare al mondo e alla propria community un cambiamento in atto. Al di là della necessità di creare un'eco ricorrente in un mercato del lusso affollato e largamente guidato dal potere evocativo delle immagini, i cambiamenti nel campo del branding sono un modo per le aziende di adattarsi a un numero crescente di mercati e mezzi di comunicazione, che sono aumentati ulteriormente grazie all'ascesa del Web 3.0 e del metaverso. Oltre a cercare il massimo impatto sui mezzi in cui i brand comunicano contemporaneamente - dagli smartphone ai cartelloni pubblicitari - c’è la necessità di doversi allineare su uno stesso immaginario visivo e testuale per raggiungere un pubblico globale. Senza tralasciare il fatto che, a livello logistico, stampare una scritta semplificata e tutta in maiuscolo su felpe e t-shirt costituisce una semplificazione nel processo di manifattura che fa comodo al reparto marketing. Se da una parte per i brand il cui heritage nulla ha più a che fare con la famiglia o il fondatore iniziale il rebranding costituisce una possibilità di esplorare nuove dimensioni, per il resto dei marchi incombe il rischio di non apportare valore alla loro storia. E che, infine, il lusso si riduca a merce.