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Quando anche il vintage diventa un brand

Basketcase e l'avvento del "vintage brand"

Quando anche il vintage diventa un brand Basketcase e l'avvento del vintage brand

Non è un segreto che il vintage e il thrifting siano diventati due pilasti portanti del sistema moda in un meccanismo che ha portato a una totale rivalutazione dell’archivio dove, complice un aumento dell’interesse verso la storia dei brand, in un certo senso passato e presente sembrano essersi fusi per creare qualcosa di nuovo. A simboleggiare al meglio questo fenomeno sono quelli che potremmo definire “vintage brand”, realtà indipendenti nate - in molti casi negli Stati Uniti - da  vintage store o che da quel mondo, in molti casi quello del workwear, attingono a piene mani. «Le nostre silhouette si ispirano all’utility wear e al workwear, ma il nostro intento è quello di creare qualcosa che possa essere senza tempo e funzionale» mi ha detto Zach Kinninger, founder di quello che forse è l’esempio più fulgido, e più interessante, di questo trend: Basketcase.

«Basketcase è nato nella mia stanza del dormitorio a Orange County, in California. Ci sono voluti circa due anni di concettualizzazione e di pessima capacità grafica per trovare la fiducia necessaria al lancio» ha raccontato Zach parlando delle genesi di quello che come ci ha detto - «Credo che Basketcase abbia avuto un ruolo significativo nell'avviare questo “filone» - è stata la prima realtà capace di incapsulare e distillare quanto di buono c’è da un capo vintage per creare qualcosa di nuovo. Un processo di preservazione necessario in un momento in cui la memoria storica della moda passata, ma soprattutto la sua presenza nei thrift store, sembra minacciata dall’ormai inarrestabile avanzata del fast fashion, che dopo aver invaso i feed social e gli armadi di mezzo mondo inizia a fare capolino nei mercatini dell’usato. «Continuo a cercare di formulare un'opinione spiritosa o ricca di sfumature sulla potenziale evoluzione del mercato del vintage» ha detto Zach Kinninger «ma probabilmente finiremo per trovare Shein al mercatino dell’usato e questo mi rende enormemente triste». Anche per questo il modello adottato da Basketcase, così come gli altri esempi citati in precedenza, continua a sposare l’idea dei drop per le release dei propri item, in molti casi collezioni limitate a pochi pezzi. Un metodo che oltre ad agevolare la produzione, contribuisce anche a preservare l’unicità dei capi, mantenendo così quel fascino da “pezzo unico e difficilmente reperibile” che caratterizza in molti casi la caccia al vintage.

Ma per mantenere quell’idea di autenticità da fieretta del sabato le neonate realtà si sono dovute scontrare con un ostacolo reso ancora più arduo dalla pandemia, quel contatto diretto con il proprio pubblico che passa per eventi fisici, qualcosa che per un lungo periodo sembrava essere andato perso. «Dare priorità alla vita reale è sempre stato parte della nostra identità come braì, perché rappresenta i nostri valori» ha raccontato Zach. «Sono così grato per l'opportunità di presentare un prodotto online e di creare risorse sufficienti per vivere la mia vita e avere un piccolo team, ma a livello artistico sono più affascinato dai creativi che si impegnano per l'arte come esperienza». Sarà anche per questo che nonostante si tratti senza dubbio di una bolla, i soldout di The Ecstasy of St. Theresa, l’ultima collezione di Basketcase, testimonia la forza e l’importanza di quei piccoli fenomeni che spesso, pur nascendo agli angoli rispetto alla narrazione quotidiana della moda, ne rappresentano una parte da non sottovalutare.