Il sensuale fascino dei mini-orologi vintage di Cartier
Il tempo dei mastodonti da polso in acciaio è finalmente finito
14 Luglio 2022
Negli ultimi giorni il mondo dell’orologeria di lusso è entrato in fibrillazione: quello che è forse l'orologio più raro mai creato da Cartier è riapparso dopo quarant’anni e sarà messo all’asta da Sotheby’s a settembre. L’orologio in questione è il Cartier Cheich, di cui esistono solo quattro esemplari conosciuti, e che era stato dato in premio al motociclista belga Gaston Rahier dopo aver vinto il Dakar Rally per due anni di fila, nel 1984 e nel 1985. Il premio era commisurato allo sforzo: il percorso del rally inizia a Parigi e finisce a Dakar, in Senegal, e si snoda per 15.000 chilometri attraverso due continenti, superando montagne, deserti e pianure. Nel 1983 Alain Dominique Perrin, allora presidente del brand, istituì la Cartier Challenge insieme al fondatore del rally Thierry Sabine stabilendo che una serie di premi sarebbe stata consegnata a chi avesse vinto il rally per due anni di fila nella stessa categoria di gara che include moto, automobili, camion e quad.
Il Cartier Cheich era uno di questi premi – e la vittoria di Rahier fu l’unica volta in cui qualcuno vinse la Cartier Challenge. L’orologio era stato creato nel 1983 – parte di una “famiglia” che includeva un secondo esemplare, una terza versione più piccola ma ricoperta di diamanti pensata per le atlete femminili, entrambe ancora custodite da Cartier, e un quarto orologio che venne offerto dal presidente di Cartier a Sabine e che si dice sia stato consegnato al motociclista Hubert Auriol e ora è considerato perduto. La cassa dell'orologio, disegnata da Jacques Diltoer, raffigura il logo del rally: la sagoma di un tuareg che indossa il tradizionale "cheich" intorno alla testa. Lo Cheich però rappresenta non solo una specie di Sacro Graal dell’orologeria di lusso ma anche la più pura manifestazione dell’estetica ambigua e surreale che circonda alcuni modelli storici di Cartier ricercati come altrettanti Graal da appassionati di tutto il mondo.
L’orologio di Cartier più iconico, almeno nel mondo della moda, è infatti il Cartier Crash, creato da Jean-Jacques Cartier nel 1967 quando alla filiale londinese del brand giunse un orologio da riparare dopo un incidente d’auto. Il modello in questione era il Baignoire Alongée, ancora uno dei modelli di punta della produzione Cartier, che nello schianto era stato deformato acquisendo un’insolita e strana bellezza. Secondo la storie del modello presente sul sito di Sotheby’s, l’orologio «non incarna in modo particolare nessuna delle caratteristiche stilistiche tipiche del decennio e, anzi, si può dire che non incarna del tutto le caratteristiche stilistiche di nessun decennio. Forse è proprio in questo che risiede il suo fascino: la sua natura astratta è in un certo senso trascendente».
Nel tempo il Crash è diventato un modello di culto per tutti i tipi di collezionisti, inclusi Kanye West, Jay-Z e Tyler, The Creator. Proprio l’attenzione portata sul modello da questi illustri proprietari, insieme al più largo movimento della archive fashion, che ha posto una forte enfasi sui medium analogici, sull’insolita bellezza dei vecchi cataloghi e sui brand più storici, ha fatto degli orologi vintage di Cartier un piccolo cult tra gli appassionati dell’archivio. Non si tratta comunque di tutti quanti i modelli prodotti dalla maison francese, che ne ha prodotti moltissimi nel corso della sua storia, ma di una tipologia molto specifica: sono orologi della cassa piccola (solitamente delle variazioni del modello Tank o dei Must), di solito sono modelli da donna estremamente sottili con quadranti oblunghi o rettangolari e possiedono cinturini preziosi o in pelle esotica insieme a elementi dorati e quadranti dall’aria vissuta con numerali romani.
La fascinazione verso questi orologi vintage non risiede tanto nel concetto di status inerente al possesso di un orologio di lusso (sempre per restare nel catalogo di Cartier, possiamo pensare al molto istituzionale Pasha) né riguarda le caratteristiche tecniche dell’orologio in sé, dato che chi li ricerca non è ha di solito specifiche competenze in materia. Il loro fascino è qualcosa di puramente estetico: la forma desueta del quadrante, la piccolezza e i minuscoli dettagli tipici dei gioielli, la preziosità rappresentata dai cinturini in coccodrillo, dagli accenti dorati e dalla stessa calligrafia del quadrante bastano da soli a evocare un immaginario intero. Le dimensioni dell’orologio sono un elemento fondamentale: se nel passato la grandezza dell’orologio era proporzionale a quella del conto in banca del suo proprietario, oggi le cose sono cambiate. Il tipico orologio maschile possiede in media un quadrante di 40mm di diametro – una dimensione che deriva dalla popolarità che negli anni ’90 e i primi 2000 avevano gli orologi in acciaio di ispirazione militare resi popolari da star del cinema d’azione come Sylvester Stallone in Daylight oltre che da brand come Rolex, Audemars-Piguet e Panerai all’epoca. Ma secondo il WSJ, «Watches of Switzerland, che gestisce negozi multimarca nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ha visto le vendite della sua categoria di orologi di diametro maggiore - oltre i 43 mm - passare dal 14% del totale nel 2016 ad appena l'8% nel 2020». Il motivo di questa inversione di tendenza riguarda tanto ragioni d’ordine pratico, e cioè la banale comodità di portare un orologio più sottile e leggero, quanto ragioni di ordine culturale: venuto meno il rigido dualismo che separava gli orologi da uomo e da donna, una nuova generazione di connoisseurs (così li definisce Alfred Tong su GQ) è tornata ad apprezzare i piccoli orologi-gioiello dall’aria vintage.
Gender neutrality, estetica old money, nostalgia del passato analogico, ma anche un reindirizzamento dei gusti: dall’interno dell’orologio all’esterno, da significante di social status a significante di cultural status, da strumento a ornamento. Questi piccoli orologi che potrebbero essere usciti tanto dal portagioie della nonna che dalla cassaforte di un aristocratico francese degli anni ’60 in vacanza a Saint Tropez, rappresentano la rottura con un certo tipo di estetica menswear che si affida a una serie di marcatori di genere e status ormai così cristallizzati e immutabili nel proprio canone da non suggerire più nulla, ormai troppo triti e già visti – un orologio troppo vistoso è tra questi.