Il nuovo film di Barbie rilancerà l'estetica western?
Lucidate gli speroni, gente
04 Luglio 2022
Gli scatti rubati dal set di Barbie, che ritraggono una Margot Robbie e un Ryan Gosling in versione cowgirl e cowboy rétro-kitsch, non hanno tardato a fare il giro del web. I due biondissimi protagonisti del film live-action firmato Warner Bros. porteranno sul grande schermo le declinazioni più iconiche della fashion doll della Mattel, accompagnandoci in una storia introspettiva nell’universo plastico e insopportabilmente perfetto di “Barbieland”. Tra frange lamè e passamanerie iridescenti, i primi outfit paparazzati durante le riprese ci riportano alla collezione “Barbie Gran Rodeo” dell’81, la versione country di Barbie in divisa da cowgirl, con l’immancabile rossetto bubblegum e la morbida treccia che doma la sua chioma biondo platino. Già a un anno dalla sua uscita, fissata per il luglio 2023, l'estetica del film sembra volersi basare in una particolare rilettura rosa schocking dell’estetica Country/Western, rievocando un mondo di cowboy che ha sempre sedotto il mondo della moda, ma che aldilà del suo fascino vintage ha anche una storia intricata da raccontare.
Lo stile rodeo, da sempre simbolo di mascolinità prorompente dai tempi di John Wayne a quelli degli spaghetti western di Sergio Leone, negli anni ’80 acquisisce una “traduzione” femminile e camp con gli abiti della fashion doll più venduta al mondo. Ma ben dieci anni prima di Barbie, la bambolina bionda dello stile western è stata Dolly Parton: tra lustrini, completi rosa shocking e capelli cotonati, la cantante country del Tennessee ha spazzato via la ruralità del cowboy con una serie di outfit che romanticizzavano il mondo del Selvaggio West, evocando un immaginario tradizionale ma contemporaneo insieme. Il designer che creò questo stile, non solo per Dolly Parton ma anche per Elton John, Elvis e Liberace fu il designer ucraino Nuta Kotlyarenko, naturalizzato negli USA con il nome di Nudie Cohn, che creò virtualmente tutti i completi western incrostati di frange e cristalli degli anni '60 e '70 lasciando una legacy che giunge fino a oggi con i lavori di Hedi Slimane e Alessandro Michele. Con camicette a quadri e generose scollature, la madrina di Miley Cyrus riuscì a convogliare il suo stile inconfondibile all’interno dell’universo pop, espandendo al femminile un’estetica sexy, allora confinata unicamente agli uomini.
Fino agli anni ‘50 infatti, essere un cowboy era sempre stato sinonimo di fatica, intense prestazioni fisiche e difficoltà economiche, in un contesto di vita agreste e paesaggi di campagna lontani anni luce dall’immaginario western-glamour odierno, come si può testimoniare attraverso le mille interpretazioni di John Wayne. Dagli anni ‘60 in poi, la figura del cowboy raggiunse l’apice della popolarità rivoluzionando la propria immagine con gli spaghetti western, una trasposizione popolare che dipingeva un mondo duro e a volte brutale, molto lontano dal West idealizzato degli americani. L'estetica western catturò sia l'immaginazione tradizionale del menswear, e lo testimonia l'incredibile successo dei western "brutti, sporchi e cattivi" di Clint Eastwood e Sergio Leone, che quella camp degli artisti country americani che invece ne declinarono le forme verso barocchismi fatti di ricami, di cristalli e di colori brillanti con discendenze che arrivano fino a oggi - come ad esempio lo stile di Lil Nas X.
Con il concretizzarsi dell’immaginario camp, da metà anni ’60 in poi, le scene underground hanno testimoniato una rinascita dello stile western attraverso le prime comunità LGBTQ+, che sradicarono i presupposti della mascolinità tossica attraverso un nuovo abbigliamento, drastico e sfrontato. Già nelle sue ultime evoluzioni degli anni ‘50 e ‘60, con film come Rio Grande, il western era diventato una versione ornamentale di sè, un musical romantico e d’avventura parecchio distante dalla realtà storica. La rivoluzione sessuale di quegli anni, come illustrato da Susan Sontag nel suo Notes on Camp, fu all’insegna del kitsch e della parodia. Accanto all’arredamento in stile liberty e ai make-up istrionici, nel mirino del camp si fecero strada tutti quegli stravolgimenti delle divise maschili della classe operaia, tra cui quella del cowboy. Complice di ciò fu un film che nel 1971 anticipò il contesto de I segreti di Brokeback Mountain, destando scalpore e concitazione tra gli spettatori. Zachariah diretto da George Englund ruota attorno all’amicizia di due giovani cowboy che poco più tardi verranno definiti gli “antieroi” del cinema western. Tra messaggi di pace e sentimentalismi, Zachariah fu il primo film della storia a destare l’interesse della critica attorno alle tematiche omosessuali, mai dibattute pubblicamente su un giornale prima di allora. Da quel momento in poi, l’estetica country cominciò ad acquisire dei risvolti inaspettati, prima dettati dal pregiudizio, poi fondendosi con lo stile dei centauri della strada, dando origine a nuove sottoculture legate all’immaginario omosessuale.
Con il nuovo secolo la parola “cowboy” è riuscita finalmente a guadagnarsi un posto fisso nel mondo della moda, lasciandosi alle spalle i vari riferimenti kitsch e i cliché provocatori. Tra gli outfit di Chanel ispirati a La casa nella prateria della sfilata Pre-Fall 2014, e le cowgirl “che non possono fare a meno dei fiocchi” della collezione SS10, Karl Lagerfeld ha detto la sua sull’estetica western attraverso proposte sbarazzine ed iper femminili. Ispirandosi allo stile della California, Hedi Slimane invece ha fatto del cowboy una delle principali suggestioni per la sua reinvenzione di Saint Laurent, preferendo un approccio androgino e sofisticato che scavalca ogni preconcetto di genere: fu durante la sua tenure che venne creato lo stivale Wyatt, in cui venne introdotto quello stile boho-losangelino fatto cappelli a tesa larga, frange e jeans bootcut.
La sua opera stilistica rivoluzionaria ha generato un linguaggio unico ed irripetibile, che ha innestato permanentemente i codici dell’estetica western nel linguaggio della menswear contemporaneo, esportandolo dalla sua originaria cultura fashion americana e romanticizzandone le connessioni che aveva con il surf, con il rock e in generale con quell’immaginario di mascolinità reinventata tipica del lavoro che Slimane compie sulle subculture. Lo stivale Wyatt, ad esempio, non era un’enorme novità in se stesso ma ebbe il merito di condensare insieme cultura western e suggestioni mod e rock prendendo la suola e il tacco tipico degli stivali da cowboy innestandoli sul classico Chelsea Boot inglese - così facendo Slimane convinse centinaia di migliaia di uomini a indossare tacchi senza nemmeno accorgersene. E se lo stivale da cowboy ridisegnato per Celine, il modello si chiama Jacno, è rimasto presente fino all’ultima sfilata parigina di Celine, tre le collezioni più emblematiche di Slimane spicca la SS15 di Saint Laurent, con pellami, amuleti e tessuti pregiati che elevano lo stile cowboy ad un inarrivabile concetto di lusso.
Tutto ciò lo abbiamo testimoniato anche durante le passerelle maschili delle ultime fashion week, in cui il trend country si è manifestato attraverso capi ed accessori che si distaccano dall’idea del classico mandriano, per avvicinarsi ad un contesto fluido e prezioso, molto più vicino agli outfit di Ken. Primi fra tutti i chaps, abbreviativo di “chaperreras”, i sovrapantaloni dei gauchos che, da metà anni ’70 in poi, divennero uno degli accessori principali della subcultura leather e BDSM, oltre che un simbolo chiave della liberazione sessuale. Dai “Gay Rodeos” degli anni ’80 ai chaps in pizzo indossati da Prince nel ’91, in effetti, il passo è stato breve. Elevati alla massima potenza da Jean Paul Gaultier, i chaps oggi sono stati i protagonisti dell’ultima sfilata di Thom Browne, nella loro versione denim altamente erotica, ma anche nel ranch psichedelico della SS23 di Casablanca, bordati con ricami dal gusto bucolico ed abbinati ad outfit da matador. Un accessorio tabù dalla storia controversa torna quindi a dettare legge sulle passerelle più ammirate del fashion system, annientando i pregiudizi ridicolizzanti che per decenni hanno accerchiato l’estetica del cowboy. E sebbene la trasgressione, in termini di moda, ormai sembra aver speculato in ogni contesto immaginabile, la figura del cowboy fuorilegge rimarrà per sempre una proposta stilistica ammaliante, emblema della ribellione e dello stile anticonformista.