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La dolorosa rivincita dei corsetti

Dal New Look di Dior al regencycore

La dolorosa rivincita dei corsetti Dal New Look di Dior al regencycore

Gli appassionati di cool hunting su TikTok lo chiamano regencycore che, tradotto, vuol dire il ritorno dei corsetti. L’architetto austriaco Bernard Rudofsky rifletteva su come l’essere umano abbia sempre avuto una percezione incompiuta del proprio corpo. Percezione che probabilmente ha trovato una sua forma espressiva in quest’indumento fatto di un corpetto più o meno rigido e lacci in grado di poter scolpire qualsiasi silhouette. L’aveva rilanciato Christian Dior sotto la wave del New Look e poi è stato reinterpretato da designer come Thierry Mugler, Jean Paul Gaultier o Vivienne Westwood. Cambiati i vibes, stravolte le reference, sovvertita l’attitudine. Eppure, nel suo lungo percorso di up e down, il corsetto è sempre stato un indumento sorprendentemente contraddittorio: orpello costrittivo, armatura di liberazione e persino strumento di tortura secondo i dottori del XVI secolo.

E, se Franco Moschino nel pieno dell’athleisure degli anni ’80, si domandava perché mai ci fosse il bisogno di disegnare abiti «quando si può modellare il corpo?», è indice di come gli ideali estetici subiscano un costante cambiamento nella proposizione di forme e proporzioni. E così il corsetto è arrivato ad affollare le home di TikTok e di Instagram sotto il nome di regencycore. Sicuramente alimentato dal successo di serie Netflix come Bridgerton - il corsetto è solo uno dei tanti strumenti che la serie ha calato all’interno della sua narrazione drama pop - il regencycore è piuttosto un fenomeno che intercetta le categorie estetiche del camp e del glamour per dare libero sfogo alla sua intrinseca polisemia. Ne è la controprova il fatto che il corsetto abbia iniziato a diffondersi fra il pubblico maschile, ripristinando la sua originaria accezione genderless. Lezione accolta da Evan Mock che, per il Met Gala 2022, ha indossato una versione tailoring di Head of State, così come Lenny Kravitz l’ha decostruito in un pantalone di pelle incrociato con una camicia con trasparenze.

E, forse, ne è testimonianza ancora più lampante la rilettura che ne ha fatto Prada nella SS22, creando un corpetto borderline con il normcore. Perché, per quanto il brand italiano sia legato ad un’estetica profondamente ugly chic, ha sempre fatto dell’erotismo un sottile e cinico strumento di lettura sociale. È il motivo per cui se da una parte il corsetto ha mantenuto la sua accezione sostanzialmente relegata nella (s)comoda sfera della femminilità o della sensualità, dall’altra si è sganciato da questo modello narrativo per trovare una dimensione più completa (e complessa) nell’era dell’inclusività. Da capo dall’estetica essenzialmente barocca disciplinato da materiali rigidi come le ossa di balena, il corsetto sta vivendo un rimodellamento che l’ha reso un capo a tutti gli effetti outerwear. Fino ad arrivare a forme di contaminazione che lo avvicinano addirittura al beachwear, come il look recentemente visto su Gigi Hadid che ha usato un costume intero della sua capsule collection come un top. Kim Kardashian aveva dichiarato al WSJ di non aver mai sperimentato così tanto dolore per stare dentro il famoso bustier Mugler dei Met Gala 2019. A distanza di pochi anni, questa forse suonerebbe come una storia piuttosto anacronistica.