Stiamo assistendo al collasso della call-out culture?
Un episodio verificatosi sui social ieri illumina i limiti e le potenzialità del recente movimento culturale
25 Maggio 2022
Ieri pomeriggio, sulle pagine di @ideservecouture e @fashionfaguette si è svolta una breve opera buffa che ha dimostrato i limiti e le criticità della moderna call-out culture nei social media. Tutto è iniziato quando l’account del brand Jean-Paul Gaultier ha pubblicato la foto di una versione moderna del Trompe-l'œil Dress co-firmato da Lotta Volkova. Immediatamente sotto al post sono apparsi una serie di commenti che accusavano la storica maison di aver copiato un designer spagnolo contemporaneo di nome Sergio Castaño Peña. Come spesso succede con la mob mentality di Internet, i primi commenti ne hanno attirati sempre di più in una specie di frenesia di gruppo durante la quale i proprietari di piccoli account sparsi per il mondo hanno iniziato ad accusare Gaultier di plagio. Ovviamente nel giro di poche ore i principali giornalisti e creator indie di contenuti sulla moda (specialmente i due citati all’inizio del pezzo) hanno deriso gli hater sui social facendo notare come Gaultier fosse praticamente l’inventore del naked dress: nello specifico l’abito in questione era ispirato a un pezzo d’archivio disegnato da Gaultier nel 1984, che è stato replicato in poliammide invece che nella sua originale fabbricazione jacquard. Nel corso degli anni ’90, poi, Gaultier ha firmato variazioni sul tema come il look dello show SS93 famosamente indossato da Ève Salvail e il Goddess Dress della collezione SS99 oggi conservato al Met di New York. Altre iterazioni dell’abito si ebbero nella collezione SS95, nella SS96, nella SS98 e nella FW04 solo per citarne alcune.
Senza voler ripercorrere l’intera storia del naked dress di Gaultier, l’episodio di ieri ha dimostrato i chiari limiti della call-out culture quando una solida base culturale non è lì a supportarne il pedante moralismo. Non è un caso se, oggi, tutti i commenti e le accuse sono state prontamente cancellati da almeno un centinaio di utenti palesemente imbarazzati della loro fretta di denunciare plagi a destra e a manca. Ma questo è solo un sintomo periferico e superficiale che mostra come il movimento culturale stia iniziando ad auto-cannibalizzarsi e collassare su se stesso: già, ad esempio, l’account che ha inventato l’idea di call-out, Diet Prada, ha gradualmente messo di lato il suo ruolo di “pagina di denuncia” di plagi e comportamenti sbagliati dell’industria della moda per trasformarsi in una sorta di notiziario che parla di politica, della gravidanza di Britney Spears, dei red carpet look di Cannes. Al call-out oggi si è sostituito un nuovo tipo di creazione di contenuti, anche critici nei confronti della moda, prodotti da giornalisti/creator indipendenti che parlano dalla platea dei social concentrandosi generalmente più sulla moda in sé che sull'attivismo politico: creator e giornalisti indipendenti come Hanan Besovic, Odunayo Ojo, Kim Russell di @thekimbino o pagine archivistiche come @insidethemood hanno iniziato a sottolineare, ognuno a modo proprio, un senso di importanza culturale che include la morale ma non si riduce a essa.
È chiaro che, vivendo nel 2022, gli elementi della call-out culture non spariranno tanto presto dal discorso pubblico – complici i social, l’opportunismo della stampa sempre più dipendente dal clickbait e la facile indignazione della folla dei social, sempre pronta a raccogliere torce e forconi per radunarsi sotto il balcone del cattivo di turno. Anzi, i lati positivi della call-out culture dovrebbero rimanere: nominalmente l’opportunità che le voci indipendenti e quelle del pubblico hanno di denunciare comportamenti sbagliati, il maggiore scrutinio a cui sono sottoposte le figure di spicco dell’industria della moda e i nuovi standard di integrità che vengono richiesti ai dirigenti del settore. Non di meno, dopo più di quattro anni di call-out culture (indichiamo in modo sommario il 2018 come l’ingresso del movimento nel mainstream culturale e il 2020 come suo culmine assoluto) le stesse audience hanno iniziato a diventare sempre più insofferenti a quella che Jonathan Chait, in un recente articolo del New York Magazine, ha definito «logica della caccia alle streghe» mentre figure cancellate in passato iniziano a fare il loro ritorno. La risposta a tutto è sempre una: la cultura come supporto alle indagini del presente e come maestra di un approccio intellettuale e di un tono di dibattito più sfumato e ponderato.