I resi gratuiti stanno per finire?
Nel Regno Unito restituire un capo da Zara costa £1,95
25 Maggio 2022
Tra lamentele, indignazione e pochi plausi, BOF ha riferito che dall'inizio di questo mese Zara aveva iniziato ad addebitare ai clienti del Regno Unito £1,95 ($2,44) per restituire gli acquisti online tramite corriere, nel tentativo di ridurre, a lungo termine, la propria impronta di carbonio e di scoraggiare lo shopping d’impulso che da sempre costa all’azienda resi su resi. Lo shopping online, che ha avuto un boom durante la pandemia, ha un costo più elevato rispetto agli acquisti in negozio, sia in termini economici che ambientali: la spedizione e l'elaborazione degli articoli restituiti creano costi logistici crescenti, nonché emissioni di carbonio, dunque per Zara, l'iniziativa di dare un costo ad ogni pacco restituito, è anche e soprattutto un ritorno economico, dopo anni in cui parte delle spese più ingenti del brand è stata proprio la logistica. A gennaio, UPS ha dichiarato di aver gestito un record di 60 milioni di restituzioni dopo le festività natalizie, il 10% in più rispetto all'anno precedente, mentre nello stesso periodo Fedex ha deciso di aumentare la sua tariffa media del 5,9%. La riduzione del tasso di ritorno dell'e-commerce dal 35% al 15% potrebbe far risparmiare 12 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra all'anno, ma c’è da chiedersi se i consumatori siano davvero pronti a rinunciare ai loro privilegi in nome dell’ambiente.
Zara non è affatto il primo rivenditore ad addebitare i resi e gli esperti sospettano che non sarà neanche l'ultimo, soprattutto se i consumatori si dimostreranno più disposti di quanto indicato nei sondaggi a pagare le tariffe di restituzione. Secondo un sondaggio di Appriss Retail e la US National Retail Federation, tra ottobre e novembre 2021, poco meno del 40% dei rivenditori ha dichiarato di addebitare costi per i resi spediti (tra cui, nel Regno Unito, Uniqlo e Next), mentre circa il 2% prevedeva di sostenere i costi durante il periodo delle vacanze e il 19% era indeciso sulle misure da adottare. I brand temono di tornare indietro nel tempo ora che molti acquirenti si sono abituati a resi gratuiti e facili: in un sondaggio del 2021 della società di pagamenti Klarna, il 57% degli intervistati ha affermato che non comprerebbe mai da un rivenditore che addebita i resi. Un furgone che raccoglie più ordini genererà probabilmente meno emissioni rispetto ai singoli clienti che guidano verso i negozi per evitare la commissione, hanno scritto gli analisti di Deutsche Bank in una nota di ricerca questa settimana.
Quella di far pagare i resi, non è l'unica strategia possibile per ridurre il tasso di restituzioni. Altre tattiche includono il miglioramento delle pagine e-commerce o fornire ai clienti consigli su vestibilità e styling se iniziano ad aggiungere più taglie dello stesso articolo al carrello online. Alcuni brand offrono servizi di riparazione e modifica, sperando che alcuni piccoli aggiustamenti scongiurino alcuni resi, come Ganni che ha collaborato con l'app di sartoria londinese Sojo nel novembre dello scorso anno per offrire modifiche su richiesta, così come Uniqlo, che da anni offre un servizio di sartoria in negozio. La psicologa dei consumatori Kate Nightingale sostiene anche che, per quanto poco plausibile possa sembrare, i marchi potrebbero trarre vantaggio dall'aggiungere un po' di "attrito" al percorso di acquisto online del cliente, complicazioni utili a rendere l'acquirente più consapevole delle proprie scelte. Invece di spingere costantemente nuovi prodotti, tramite consigli di styling personalizzati sarebbe possibile ridurre il numero di acquisti d'impulso che alla fine vengono inevitabilmente restituiti: «si tratta più di un cambiamento di mentalità a lungo termine».