Perché la moda non può fare a meno delle uniformi
Dal preppy all'uniforme Miu Miu
25 Maggio 2022
Uniforme vuol dire, parafrasando l’etimologia del termine, unica forma. Indica pertanto un qualcosa di necessariamente riconoscibile, fortemente identitario ed essenzialmente comunitario. Le uniformi servono appunto a creare divise per un gruppo che si riconosce in valori ed usi e, contemporaneamente, si allontana dalle visioni di un altro. A scuola, in ufficio, sul campo da calcio o altrove. La moda attinge da sempre all’immaginario estetico delle divise proprio perché, per sua natura, vive di una sorta di disturbo borderline che ora l’avvicina alla necessità di uniformare ora a quella di differenziare. È il motivo per cui Raf Simons o Miuccia Prada - tanto per citare alcuni dei designer legati al tema - hanno costruito nel tempo un’estetica super riconoscibile sotto forma di uniformi tanto concettuali quanto funzionali.
O ancora, e forse in maniera ancora più incisiva, il lavoro di Thom Browne ha fatto sì che il preppy e l’uniforme scolastica diventassero il core di un’estetica in grado di rendere sovversivo il mood di uno studente qualunque alle prese con libri, matite e lezioni più o meno noiose. Per una strana affinità con l’ingenuità tipica della ribellione, la moda ha trovato un punto di contatto con tutto ciò che è associato alle questioni giovanili in senso lato. Da qui il successo di serie tv come Gossip Girl i cui protagonisti, per potere resistere all’interno di uno scenario scolastico fortemente classista e appagato solo in superficie da un lifestyle improntato sul glamour più sfrenato dell’Upper East Side, dovessero personalizzare la propria divisa scolastica. Dal 2021 la moda ha iniziato così ad attingere prepotentemente alla prima decade degli anni 2000, innescando una serie di riflessioni solo in parte sovrapponibili con un effetto throwback Y2K. Soprattutto quando, di fronte alla SS22 di Miu Miu, siamo tutti rimasti affascinati dalla semplicità con cui Miuccia Prada sia riuscita a prendere coscienza del fatto che ci fosse bisogno di un’uniforme frammentaria, leggera e spigolosa per potere reggere il confronto con il presente. Quelle minigonne striminzite con maglioni cropped letteralmente tagliati hanno fatto sì che il concetto di uniforme fosse tradotto in un abito feticcio non privo di contraddizioni. L’operazione di revisione dell’uniforme si è ulteriormente sviluppata e ha raggiunto forse piena maturità nella collezione Miu Miu AW22, distaccandosi però dall’idea di scolaretta collegiale cattolica e portando in scena una divisa più vicina alla tenuta da tennis.
Oppure, spostandoci in Francia, lo show AW22 di Coperni è andato a ripescare tra i vezzi delle uniformi scolastiche - persino le hoodie con cappuccio sembrano riprodurre fedelmente le tensioni interiori di un adolescente costretto ad andare a scuola - per riuscire a stanare delle stranezze in mezzo a tutta quell’uniformità relegata nel comfort delle divise. Scenario condiviso (e forse ancora più sentito) da Ralph Lauren che, per la AW22, ha immaginato di portare in scena un collegial preppy alla portata di Serena Van Der Woodsen o di chiunque voglia cimentarsi nell’impresa di “dress for the life you want”. E come non citare, per riprendere il tema dell’adolescenza e dell’uniforme, l’operato di Raf Simons che ha addirittura dedicato una mostra (il Quarto Sesso) al serbatoio semantico ascrivibile ad un’età di transizione e quindi passibile di multiformi interpretazioni. Ecco dunque che le uniformi e le divise, così vincolanti all’apparenza, diventano veri e propri elementi di espressione individuale. Guardare un look di Thom Browne su uno dei suoi dipendenti in giro per le strade di New York o su Oscar Isaac al Met Gala rende bene l’idea di quanto un’uniforme risulti un interessante esperimento stilistico tanto riconoscibile quanto personalizzabile. Poco importa se il vibe sia fetish, glamour, punk o erotico: è il modo in cui il tessuto dell’uniforme aderisce ai nostri corpi a rendere significante quell’abito.